
Osservando lo sviluppo del paesaggio valsuganotto nell’arco di questi miei anni, mi chiedo spesso se, in terra di Autonomia, poteva essere diverso. Nel senso che, se lo confronto con lo sviluppo di territori limitrofi di pianura e di terre governate centralisticamente, non vedo grandi differenze fisiche.
Vedo il fondovalle pianeggiante occupato da strade, svincoli, rotatorie, aree commerciali, aree industriali, capannoni occupati e attivi alcuni, altre costruzioni dismesse e in stato di abbandono, edifici mai terminati ecc. Vedo un agricoltura spesso dedita alle culture intensive di mais o altre monocolture per la grande distribuzione. Grossomodo lo stesso paesaggio che puoi trovare in pianure lombardovenete e qualsiasi altro luogo o “nonluogo” della nostra epoca.
Forse la più celebrata che attuata Autonomia, in questi anni, ha mancato di presenza oltre che curiosità e fantasia?
Avere un territorio alpino con la peculiare forma dell’ autogoverno non ha impedito l’assalto sviluppista che, anche qui, ha consumato suolo a ritmi assolutamente insostenibili (vedi ultimo rapporto ISPRA).
Sono mancate forse programmazione e pianificazione condivise? Coinvolgimento delle popolazioni residenti? Limitazione del potere dei portatori di interessi più capaci di far sentire il loro peso? Attenzione ai fattori ambientali, considerati (erroneamente) di scarso valore sul piano economico?
Il sospetto che questa non politica del territorio possa contribuire ad un diffuso scollamento della popolazione nei confronti di un sentire realmente autonomista e democratico, in queste circostanze, diventa molto più di un sospetto.
Concludo con un passaggio di Salvatore Settis di qualche anno fa’ in “Paesaggio Costituzione e cemento” che credo possa aiutare a esprimere meglio queste riflessioni: “Il paesaggio fisico che ci circonda corrisponde infatti a una geografia mentale, la cui familiarità ci conforta e ci incoraggia almeno quanto può farlo, quando c’è, una serena memoria e coscienza di sé, della propria vita. La distruzione dei suoi valori produce disorientamento, frantuma antiche familiarità, innesca meccanismi di ansia e di ripulsa, fa di ogni cittadino un disadattato.”
Questa non vuole essere un accusa all’indirizzo di qualcuno in particolare, visto che, in democrazia, del paesaggio è responsabile anche il silenzio dei molti, vorrebbe invece essere uno spunto generativo di una maggiore attenzione, a tutti i livelli, perché il futuro ci possa aiutare ad evitare sterili “coazioni a ripetere” presentate come inevitabili e magari anche “autonomiste”…
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Lettera pubblicata su Il T (con risposta del giornalista Francesco Terreri) e su L’Adige il 15 novembre 2025:



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