Atti intimidatori contro gli amministratori locali in aumento: il quadro nazionale e il caso del Trentino-Alto Adige

Il Report 2024 del Dipartimento della Pubblica Sicurezza – Ministero dell’Interno conferma una tendenza preoccupante: nel 2024 gli atti intimidatori nei confronti degli amministratori locali sono aumentati del 13,9% rispetto all’anno precedente, passando da 553 a 630 episodi complessivi.

Il fenomeno si distribuisce in modo disomogeneo sul territorio nazionale, con una maggiore concentrazione in alcune regioni del Mezzogiorno e del Nord, ma con una presenza ormai strutturale in tutte le aree del Paese. La media nazionale si attesta a 1,04 episodi ogni 100 mila abitanti, un dato che restituisce l’immagine di una pressione costante su chi esercita funzioni pubbliche a livello locale.

Tra gli elementi più rilevanti messi in evidenza dal report:
– le vittime principali sono i sindaci, che rappresentano oltre la metà dei casi rilevati, a conferma del loro ruolo di “front office” tra istituzioni e cittadinanza.
– ll modus operandi prevalente è quello digitale: minacce e contenuti ingiuriosi sui social network e sul web costituiscono la forma più frequente di intimidazione.
– la matrice degli atti è spesso di natura privata o riconducibile a tensioni politiche e sociali, ma in una quota molto significativa dei casi la matrice resta non identificata.

Il focus sul Trentino-Alto Adige

All’interno di questo quadro generale, il Trentino-Alto Adige registra nel 2024 12 atti intimidatori, un dato in crescita rispetto ad alcune annualità precedenti e che colloca la regione leggermente al di sopra della media nazionale in termini di incidenza sulla popolazione (1,12 episodi ogni 100 mila abitanti).

Pur trattandosi di numeri assoluti contenuti, il dato è significativo per almeno due ragioni. La prima è che il dato conferma che anche territori spesso percepiti come “marginali” rispetto a queste dinamiche non ne sono affatto immuni. La seconda segnala come le intimidazioni colpiscano anche contesti istituzionali caratterizzati da dimensioni amministrative ridotte, dove l’esposizione personale degli amministratori è spesso maggiore.

Uno sguardo critico: solo la punta dell’iceberg

Pur nella sua utilità, il report del Ministero dell’Interno rischia di restituire solo una rappresentazione parziale del fenomeno. Le statistiche ufficiali tendono infatti a registrare con maggiore frequenza le minacce:
– rivolte a chi occupa posizioni apicali;
– esercita direttamente il potere esecutivo;
– gode di una maggiore visibilità mediatica e di maggiore protezione della autorità di pubblica sicurezza;
– è inserito in contesti in cui esiste una rilevazione formale dell’episodio (denunce, segnalazioni istituzionali, atti ufficiali).

Resta invece largamente sommersa un’area grigia fatta di pressioni, intimidazioni e condizionamenti “soft”, spesso rivolti alle minoranze politiche, ai consiglieri di opposizione o a soggetti meno esposti pubblicamente. Queste forme di intimidazione utilizzano strumenti più subdoli (isolamento politico, delegittimazione sistematica, attacchi personali informali, uso strumentale di procedure e regole, ostracismo mediatico). Sono difficili da denunciare e ancora più difficili da misurare statisticamente. Risultano particolarmente efficaci proprio perché esercitate da chi detiene il potere o da soggetti a esso vicini.

In questo senso, i dati ufficiali rischiano di fotografare la punta dell’iceberg, lasciando in ombra una parte consistente delle dinamiche che incidono sulla qualità della democrazia locale.

Perché questi dati ci riguardano

Gli atti intimidatori non colpiscono solo le singole persone, ma indeboliscono l’intero sistema democratico: scoraggiano l’impegno civico, sviliscono il ruolo delle minoranze, limitano il pluralismo politico e alterano il rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni.

Per questo è fondamentale:
– ampliare gli strumenti di osservazione e analisi del fenomeno;
– riconoscere anche le forme di intimidazione meno visibili;
– rafforzare le tutele per tutte le rappresentanze politiche, non solo per chi governa e per chi distribuisce le risorse;
– promuovere una cultura istituzionale basata sul rispetto del dissenso e sulla piena agibilità democratica.

Solo così i numeri dei report potranno trasformarsi in consapevolezza politica e azione concreta a tutela della democrazia, anche – e soprattutto – nei territori come il Trentino-Alto Adige / Südtirol.

Una chiosa necessaria: il paradosso del monitoraggio

Se è vero che fenomeni complessi richiedono strumenti di analisi e monitoraggio sempre più raffinati, capaci di intercettare anche le forme indirette, informali e sistemiche di intimidazione, è altrettanto vero che tali strumenti incontrano spesso una resistenza politica strutturale.

Il paradosso è evidente: gli stessi soggetti che oggi alimentano le statistiche ufficiali del Ministero dell’Interno – segnalando e denunciando le intimidazioni che li colpiscono – si sono dimostrati, nella scorsa legislatura, fermamente contrari a dotare il territorio regionale di strumenti indipendenti e permanenti di osservazione.

L’ostinata e vigorosa opposizione alla creazione di un Osservatorio sulla criminalità organizzata e sulla prevenzione della corruzione ne è un esempio emblematico. Un rifiuto che non può essere letto come una mera scelta amministrativa, ma come un segnale politico: monitorare in modo sistemico significa infatti rendere visibili anche le zone d’ombra del potere, i meccanismi di pressione meno evidenti e le pratiche di esclusione che difficilmente emergono nei dati ufficiali.

Senza strumenti di questo tipo, il rischio è quello di continuare a misurare solo ciò che è già emerso, lasciando indisturbato tutto ciò che resta sommerso. E una democrazia che rinuncia a conoscere fino in fondo le proprie fragilità è una democrazia che accetta, implicitamente, di conviverci.

Rapporto sulle minacce agli amministratori locali – Anno 2024:

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