Statuto speciale, più competenze ma meno garanzie: il pericolo di istituzionalizzare il deficit democratico

* versione ridotta inoltrata a L’Adige il 29 settembre e non pubblicata

Negli ultimi mesi il dibattito accademico sulla riforma dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol ha visto emergere due letture opposte. Da un lato Francesco Palermo, costituzionalista ed ex senatore, mette in guardia contro il rischio di un’“esautorazione strutturale” della Corte costituzionale: secondo lui il progetto di riforma, soprattutto con la modifica dell’articolo 107, mira a sostituire il controllo giurisdizionale con negoziati politici, creando una zona franca dal sindacato di legittimità. Dall’altro lato Esther Happacher, docente di diritto pubblico comparato, legge nella stessa riforma un’operazione legittima di “ripristino delle competenze” erose negli ultimi decenni, compatibile con lo Stato di diritto europeo e rispettosa del ruolo della Corte.

Questa contrapposizione non è solo tecnica: fotografa due visioni profondamente diverse dell’autonomia. Per Palermo, l’isolamento normativo delle Province rischia di trasformarsi in un deficit democratico permanente; per Happacher, invece, il sistema resta equilibrato, perché i poteri di controllo della Corte e i principi costituzionali non vengono scalfiti.

Personalmente ritengo che le preoccupazioni di Palermo colgano un punto cruciale che troppo spesso sfugge: al di là delle formulazioni normative, nella prassi già oggi esiste un deficit di effettività del principio di Stato di diritto, che la riforma rischia di istituzionalizzare. È da questa convinzione che muove la mia riflessione, con l’obiettivo di mostrare come i problemi non siano teorici ma concreti, radicati nella realtà quotidiana del funzionamento delle nostre istituzioni.

Per cominciare, vedo un problema enorme sull’effettività del sindacato di costituzionalità. Happacher sostiene che, nonostante la riforma, la funzione di controllo della Corte costituzionale rimarrebbe intatta, perché tanto le norme di attuazione quanto le leggi provinciali resterebbero soggette al suo vaglio. Io, però, non riesco a considerare questa una garanzia effettiva: si tratta piuttosto di una possibilità astratta. Il controllo “dal basso”, in via incidentale, è storicamente debolissimo e poco praticato. Un caso emblematico, come rilevato nel paper di Palermo, è la legge provinciale sul Covid (n. 4/2020), arrivata alla Corte solo in via incidentale e solo dopo che il Governo aveva ritirato il proprio ricorso diretto. È la dimostrazione che il ricorso individuale resta una via eccezionale, e che il sistema nel suo complesso non garantisce un controllo serio. Per questo concordo con Palermo quando parla di “esautorazione strutturale del controllo di costituzionalità”: la riforma consoliderebbe un meccanismo già fragile.

Questa debolezza del controllo esterno si somma, nella mia esperienza come rappresentante eletto all’interno delle istituzioni, a una carenza di garanzie interne altrettanto preoccupante. Nei processi legislativi provinciali mancano strumenti sistematici per verificare la compatibilità delle norme con il diritto europeo e internazionale, e non esistono procedure per valutarne l’impatto. Ciò significa, in concreto, che la legislazione provinciale tende a isolarsi dal contesto giuridico più ampio. Penso per esempio alla normativa ambientale, dove spesso le province legiferano direttamente sulla base delle direttive europee, bypassando la legge statale di recepimento. Così si crea un vuoto di responsabilità: l’Unione dialoga con lo Stato membro, ma se lo Stato è inadempiente o disinteressato, le province agiscono senza alcun vero controllo. Oppure penso al rapporto con il Consiglio d’Europa: il fatto che Provincia e Regione non considerino vincolanti trattati ratificati dall’Italia, come la Carta europea dell’autonomia locale, restituisce l’immagine di entità autoreferenziali, più vicine a piccoli feudi che a componenti di una repubblica democratica. È un atteggiamento che rafforza la tendenza all’isolamento e che incarna perfettamente il rischio di un’“autonomia anche dallo Stato di diritto”.

Ancora più grave, a mio parere, è che questa erosione del controllo giurisdizionale non sia bilanciata da un rafforzamento dei meccanismi democratici interni. L’estensione delle competenze non si accompagna a un aumento delle forme di partecipazione o di controllo diffuso o a un riconoscimento del ruolo delle minoranze politiche. La cittadinanza resta priva di strumenti per incidere realmente sull’azione di governo. Non è un caso: la stessa procedura della riforma è stata condotta bilateralmente tra Giunte provinciali e Governo, abbandonando percorsi partecipativi come la Convenzione sull’autonomia o la Consulta. Si concentra tutto in sedi ristrette e opache, sottraendo voce ai cittadini.

A questo si aggiunge l’assenza di vincoli procedurali e di trasparenza nelle istituzioni. Non c’è stato alcun serio tentativo di riformare le Commissioni paritetiche, che restano organi tecnici poco trasparenti e scarsamente collegati ai Consigli provinciali e al Consiglio regionale. Eppure, come osserva Palermo, queste commissioni diventeranno il “meccanismo principe” dello sviluppo autonomistico. Senza regole nuove sulla loro composizione e sul loro funzionamento, rischiano di trasformarsi nello strumento ideale per neutralizzare ogni forma di controllo costituzionale.

In conclusione, leggendo la riforma attraverso la mia esperienza, vedo con chiarezza come le garanzie giurisdizionali, che Happacher descrive come intatte, siano in realtà fragili e aggirabili. Per questo temo che la riforma non rappresenti un semplice “ripristino di competenze”, ma piuttosto il tentativo di istituzionalizzare un deficit dello Stato di diritto già oggi ben visibile, confermando le preoccupazioni più serie sollevate da Palermo.

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Il 29 settembre abbiamo inoltrato un versione ridotta di questo post a L’Adige ma nemmeno questa è stata pubblicata, almeno fino ad oggi. Questo il messaggio inoltrato al direttore Depentori:

“Gentile Direttore Depentori,
consapevoli che l’associazione Più Democrazia in Trentino esprime posizioni spesso “non convenzionali” e distanti dalla linea editoriale del giornale, Le sottoponiamo comunque, con rispetto, un contributo di riflessione sulla riforma dello Statuto speciale del Trentino-Alto Adige/Südtirol.
In via eccezionale, chiediamo cortesemente di valutarne la pubblicazione nello spazio dedicato alle lettere, come opportunità di arricchire il dibattito pubblico su un tema che riguarda direttamente la qualità della nostra autonomia e delle istituzioni democratiche.
La ringraziamo per l’attenzione e Le porgiamo cordiali saluti.
Cordialmente,
Alex Marini – presidente dell’associazione Più Democrazia in Trentino”

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