* pubblicato sulla rivista Questo Trentino – maggio 2025
A ogni tornata elettorale si moltiplicano i commenti sul disinteresse dei cittadini verso la politica locale e sulla crescente difficoltà nel trovare candidati disposti a impegnarsi in prima persona. Ma mentre si moltiplicano le analisi culturali e sociologiche sullo sfaldamento della partecipazione, poche sono le proposte concrete per rimuovere quegli ostacoli che, nella pratica quotidiana, rendono più difficile l’esercizio del diritto di elettorato passivo.
Fra questi, c’è una stortura tanto banale quanto odiosa: l’obbligo per ogni candidato di presentare, a proprie spese, un certificato del casellario giudiziale, previsto dalla cosiddetta “Legge Spazzacorrotti” (L. 3/2019) per garantire trasparenza nei confronti degli elettori. Un principio condivisibile – nessuno vuole delinquenti in lista – ma attuato nel modo più macchinoso e vessatorio possibile.
Il rilascio del certificato costa 9,96 euro, anche nella modalità più economica. Per le elezioni comunali del 4 maggio a Trento, che vedono la presentazione di 403 candidati al Consiglio comunale, la spesa complessiva si è aggirata su una cifra superiore ai 4.000 euro. Se allarghiamo il conteggio ai candidati delle circoscrizioni cittadine e a quelli degli altri Comuni della provincia, si supera abbondantemente la soglia dei 2.000 candidati, con un costo complessivo minimo stimabile in circa 20.000 euro. Una cifra che ricade interamente sulle spalle dei candidati o, più spesso, dei promotori delle liste, che devono farsi carico anche della raccolta dei documenti.
Due sono gli aspetti critici. Il primo è di principio: stiamo parlando di una tassa sull’accesso a un diritto costituzionalmente garantito, come quello di candidarsi (art. 51 Cost.). Il secondo è di ordine pratico: l’attività di richiesta, ritiro e gestione dei certificati è ancora oggi manuale, cartacea e dispendiosa, nonostante l’esistenza di strumenti informatici che renderebbero possibile un collegamento diretto e gratuito tra enti pubblici.
Il tema non è nuovo. Già nel 2021, su proposta di chi vi scrive, il Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige/Südtirol aveva approvato, con larghissima maggioranza, una proposta di voto che impegnava Governo e Parlamento a eliminare l’obbligo di marca da bollo e a prevedere una modalità digitale e semplificata per il rilascio dei certificati a fini elettorali (voto 8/XVI). A distanza di oltre tre anni, quella proposta è rimasta lettera morta. Nessun atto normativo, nessun decreto attuativo. Solo silenzio.
Eppure la soluzione è a portata di mano. La Direttiva della Funzione pubblica del 2011 prevede che le pubbliche amministrazioni non debbano richiedere certificati relativi a informazioni già in possesso di altre amministrazioni. Perché allora il Ministero della Giustizia non può dialogare direttamente con i Comuni o con gli uffici elettorali, consentendo la trasmissione telematica dei certificati tramite SPID, PEC o appositi portali?
Siamo davanti a un paradosso tutto italiano: si chiede più partecipazione, ma si continuano a frapporre ostacoli economici e burocratici a chi vuole esercitarla. È come se, per accedere al seggio elettorale, servisse pagare un ticket sanitario. O come se si chiedesse a chi manifesta in piazza di pagare l’asfalto calpestato.
È ora di intervenire. Non si può parlare di “cittadinanza attiva” o “rinnovamento della politica” e poi accettare che permangano balzelli di tipo medievale e procedure da ufficio postale del secolo scorso. L’eliminazione della marca da bollo per i certificati penali richiesti a fini elettorali è un piccolo passo che avrebbe un impatto concreto, immediato e simbolico: dire chiaramente che la partecipazione non si tassa.
Serve un segnale politico chiaro e coerente: dimostrare che la volontà di aumentare la partecipazione è reale e non solo uno slogan buono per i convegni o le conferenze stampa.
Alex Marini – Presidente di Più Democrazia in Trentino

