Autonomia senza democrazia: quando il governo del territorio tradisce il paesaggio e la comunità

* sull’argomento sono state pubblicate anche n.2 brevi riflessioni su Il T e su L’Adige
(a piè di pagina)

La lettera di Paolo Offer sul paesaggio valsuganotto pone una questione che supera i confini della Valsugana e tocca il cuore stesso dell’Autonomia trentina: che valore ha l’autogoverno se il territorio che abitiamo finisce per assomigliare a qualsiasi periferia lombardo-veneta, indistinguibile da mille altre?

Strade, svincoli, rotatorie, capannoni dismessi, monocolture intensive: il fondovalle che Offer descrive non è un’eccezione locale, ma il simbolo di una deriva che ha toccato molte aree del Trentino. Il paradosso è evidente: possediamo gli strumenti dell’autogoverno, ma il risultato è lo stesso di territori privi di Autonomia.

Per decenni è stata ripetuta una convinzione rassicurante: “La Provincia Autonoma può fare meglio dello Stato, perché decide da sé”. Ma il confronto impietoso proposto da Offer mostra che questo mantra non regge più.

Quando il paesaggio valsuganotto diventa simile a quello di qualsiasi zona industriale padana, la domanda diventa inevitabile: se l’Autonomia non produce risultati diversi, che tipo di autogoverno stiamo esercitando?

In un territorio alpino che avrebbe potuto scegliere una via diversa, più coerente con i vincoli ambientali e con la propria identità culturale, si è replicato invece lo stesso modello sviluppista che l’ISPRA indica da anni come insostenibile. Non è solo un fallimento urbanistico: è un fallimento politico e culturale.

Partecipazione mancata, pianificazione debole

Offer pone interrogativi chiari: sono mancate programmazione condivisa, coinvolgimento delle comunità, limiti agli interessi più forti? La risposta non può che essere sì. Tre dinamiche sono state decisive:

1. Il consenso immediato come unico orizzonte
Molte amministrazioni locali hanno scelto, negli anni, soluzioni che garantivano entrate e investimenti subito, scaricando sulla collettività i costi ambientali e paesaggistici di lungo periodo. Così è nata una competizione al ribasso fra comuni, priva di una visione sovracomunale capace di tutelare l’interesse generale.

2. “Tecnicalizzazione” delle decisioni
Le scelte urbanistiche sono state spesso presentate come questioni “troppo complesse” per coinvolgere davvero i cittadini. Ma quando il paesaggio – la geografia mentale che dà senso alle nostre comunità – viene ridotto a tecnicismo, la democrazia ne esce svuotata.

3. Partecipazione formale, ma non sostanziale
Gli strumenti esistono, ma funzionano poco o male:
– le osservazioni ai piani urbanistici tutelano soprattutto interessi privati;
– i referendum confermativi su grandi trasformazioni sono vietati;
– VAS e VIA valutano dettagli, ma raramente incidono sulle scelte strategiche come il consumo di suolo, l’impatto paesaggistico complessivo o la compatibilità energetica.

Risultato: decisioni già prese altrove, con la partecipazione ridotta a un adempimento.

I costi nascosti della cementificazione e il legame profondo tra paesaggio e democrazia

La contabilità pubblica continua a valorizzare solo i benefici immediati delle nuove urbanizzazioni – gettito, investimenti, posti di lavoro – senza considerare i costi veri, quelli che pagheranno le future generazioni:
– perdita dei servizi ecosistemici (drenaggio, fertilità del suolo, assorbimento CO₂);
– aumento del rischio idrogeologico;
– peggioramento della qualità dell’aria e dell’acqua;
– riduzione dell’attrattività turistica;
– aumento dei costi sanitari;
– erosione dell’identità visiva e culturale del territorio.

È una contabilità distorta, che privilegia il breve periodo e cancella il valore del paesaggio come bene comune.

Offer richiama un passaggio prezioso di Salvatore Settis: “La distruzione del paesaggio produce disorientamento […] fa di ogni cittadino un disadattato.”
La perdita di familiarità con il proprio territorio non è solo un danno estetico: è una frattura democratica. Come si può costruire un senso di appartenenza autonomista quando ciò che vediamo intorno a noi non riflette più alcuna identità condivisa?
Una comunità che non riconosce più i propri luoghi perde coesione, fiducia e persino la voglia di partecipare.

Da dove ripartire: proposte concrete

Se l’Autonomia vuole essere davvero un modello avanzato, è necessario un salto di qualità. Alcune direzioni possibili:

1. Restituire il paesaggio ai cittadini
– referendum confermativi per le grandi trasformazioni;
– assemblee cittadine estratte a sorte per valutare i progetti più impattanti, come avviene in diverse democrazie avanzate;
– processi partecipativi vincolanti nella formazione dei piani urbanistici.

2. Rendere visibili i costi reali
– introdurre la contabilità dei servizi ecosistemici;
– bilanci ambientali chiari e pubblici;
– contributi straordinari per ogni metro quadro di suolo consumato.

3. Democratizzare la conoscenza tecnica
Decisioni comprensibili, dati aperti, educazione civica territoriale: un cittadino informato è un cittadino che può partecipare.

4. Rafforzare i limiti ai conflitti d’interesse
Regole più severe per amministratori, tecnici e portatori di interessi economici, per riportare il baricentro sul bene comune.

5. Pianificare a livello sovracomunale
Il territorio non può essere gestito comune per comune: servono strategie condivise, coordinate e democratiche.

Conclusione – Un’Autonomia che torni a essere responsabilità, non rendita

Offer conclude ricordando che “del paesaggio è responsabile anche il silenzio dei molti”. È una verità che interpella tutti. Ma quel silenzio, negli anni, è stato favorito da un sistema che ha reso i cittadini spettatori anziché protagonisti.

Un’Autonomia che non sa governare democraticamente il territorio rischia di diventare una semplice amministrazione periferica, con privilegi finanziari ma senza una vera visione.

Il paesaggio valsuganotto di oggi è il risultato di questa distanza crescente tra istituzioni e comunità. Può però diventare anche il punto da cui ripartire: riconoscendo che il territorio non è una variabile tecnica, ma la casa comune che dà forma alla nostra identità.

L’Autonomia è credibile solo quando nasce dal basso, quando coinvolge davvero la comunità nelle scelte che contano, quando non teme la partecipazione ma la considera la propria forza.

Il futuro del Trentino dipende dalla capacità di trasformare l’autogoverno da slogan a pratica quotidiana di democrazia territoriale.

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Un pensiero su “Autonomia senza democrazia: quando il governo del territorio tradisce il paesaggio e la comunità

  1. Grazie Alex. Questo è esattamente il Top di quel che uno si può aspettare quando scrive pubblicamente un pensiero: essere letto e discusso sviluppando ragionamenti e riflessioni che possano collaborare al “sortirne assieme”. Centri perfettamente e con più precisione quello che con questo scritto volevo far emergere.

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