Il dibattito sull’iniziativa legislativa popolare nella Commissione per la Costituzione

costituenteFonte degli estratti: Nascita della Costituzione – A cura di Fabrizio Calzaretti

[Il 3 SETTEMBRE 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione inizia la discussione generale sull’organizzazione costituzionale dello Stato partendo dalla relazione dell’onorevole Mortati. Vengono di seguito riportate solo le parti relative all’articolo sottoposto all’Assemblea che successivamente diverrà l’articolo 71. Il resoconto completo della seduta disponibile al collegamento ipertestuale della data]

Mortati, Relatore (Democrazia Cristiana). […] Per passare alla parte relativa al potere legislativo visto nel momento del funzionamento, sono da esaminare vari punti e innanzitutto a chi spetti la iniziativa. Vi sono, in proposito varie tendenze: una tendenza che si potrebbe chiamare demagogica, la quale vorrebbe escludere la iniziativa del potere esecutivo in generale, mentre, se si vuole creare un regime che dia al potere esecutivo il giusto posto che gli spetta, bisogna pensare che la libera iniziativa parlamentare non deve escludere quella governativa, perché il Governo, se è responsabile, deve avere una pienezza di mezzi, uno dei quali è la iniziativa. Viceversa si può pensare ai limiti della iniziativa parlamentare ed uno di questi, che la esperienza del funzionamento dell’iniziativa parlamentare ha dimostrato particolarmente utile, è in materia di spese. Si è invertita storicamente la posizione dei due poteri rispetto al passato. Mentre prima i Deputati influivano nel senso di limitare le spese, anzi la loro funzione storicamente era quella di intervenire, su richiesta del Capo dello Stato, per stabilire l’entità delle contribuzioni e limitarla, adesso nei regimi parlamentari è il Governo che deve limitare la tendenza eccessiva di iniziativa in materia finanziaria da parte dei Deputati. Perciò si è pensato a limitare in qualche modo l’esercizio di questo potere di iniziativa da parte di organi non responsabili, i quali, non avendo nelle mani il funzionamento dell’assetto finanziario, sono portati a eccedere nelle spese senza pensare al modo come farvi fronte. Si è pensato, cioè, di limitare la iniziativa parlamentare alla determinazione delle entrate sufficienti a coprire le spese e precisamente ad inquadrare questa posizione reciproca dei due poteri.

[Il 24 OTTOBRE 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato. — Presidenza del Vicepresidente Conti.]

[… omissis…] prima parte della discussione sull’iniziativa legislativa del Parlamento

Il Presidente Conti (Partito Repubblicano) pone ai voti la formula Bozzi, alla quale hanno aderito gli onorevoli Mortati e Vanoni:

«Nelle proposte di nuove e maggiori spese e nelle leggi che le approvano devono essere indicati i mezzi per far fronte alle spese stesse». (È approvata).

Informa che, esaurita la trattazione della iniziativa legislativa, si deve esaminare il diritto di iniziativa popolare. Prima di aprire la discussione sull’argomento ricorda di avere nel suo progetto proposto le seguenti norme:

«Tutti i cittadini hanno diritto di petizione e di iniziativa».

«Per una legge di iniziativa popolare si richiede la presentazione della proposta da parte di 25 mila cittadini nel pieno godimento dei diritti civili».

«Proposte di legge e petizioni sono portate all’esame di Commissioni della Camera dei Deputati e del Senato per la formulazione di progetti legislativi».

Invita a limitare per il momento l’esame alla sola iniziativa popolare, tralasciando il diritto di petizione.

Mortati, Relatore, propone la formula:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto articolato da parte di un decimo (o di un ventesimo) degli elettori».

Per la determinazione della percentuale si rimette alle decisioni della Sottocommissione.

Lussu (Partito Sardo d’Azione) dichiara di non approvare l’istituto, che considera non rispondente ad alcuna sostanziale esigenza democratica. Osserva che le due Camere, grazie alla loro composizione, e le Assemblee regionali, di probabile costituzione, danno ogni garanzia che i cittadini possano esprimere legalmente la loro volontà. Aggiunge che l’iniziativa popolare è raramente applicata nei paesi più democratici, ove piuttosto si ricorre al referendum, con cui si sottopone al voto popolare una legge già approvata dal Governo.

Mortati, Relatore, riconosce che effettivamente la questione è molto dibattuta e taluni sostengono che l’intervento diretto popolare costituisca un perturbamento e rappresenti una deviazione della linea direttiva politica approvata dalla maggioranza ed espressa dal Governo. Personalmente, invece, ritiene che l’istituto sia opportuno allo scopo di frenare e limitare l’arbitrio della maggioranza.

Non è detto che la maggioranza sia espressione sempre della volontà popolare, ed è quindi opportuno concedere al popolo un mezzo concreto per esprimere efficacemente un proprio orientamento, anche in difformità con l’orientamento governativo. Giova rilevare al riguardo che le elezioni si svolgono una volta ogni cinque anni; e si presume che lo schieramento che ne risulta rifletta, durante tutto questo periodo, la volontà espressa nel primo momento. Tuttavia non si tratta di una presunzione juris et de jure, che non possa essere assoggettata a riprova, ed è utile e democratico consentire questa possibilità di controllare il grado di rispondenza tra la politica del Governo e gli orientamenti popolari.

Trova piuttosto che la percentuale utile per la presentazione della proposta, consigliata dall’onorevole Conti (25 mila abitanti) è troppo modesta e fa presente che occorrerà anche prevedere le conseguenze dell’istituto, se, cioè, una volta che il Parlamento respinga la proposta, questa venga a cadere o si possa provocare su di essa un referendum.

La Rocca (Partito Comunista) è favorevole a che venga sancito nella Costituzione il diritto d’iniziativa popolare che, oltre ad essere quant’altri mai democratico, ha una funzione di pungolo e di eccitamento all’azione del Governo.

Einaudi (Liberale) concorda con l’onorevole Lussu, sull’inopportunità dell’iniziativa popolare, alla quale preferisce il referendum. Non vede infatti il fondamento della prima, perché, se la corrente che si vale del diritto d’iniziativa è talmente larga da riuscire a far approvare la sua proposta, troverà sempre chi, in una delle due Camere o nel Governo stesso, si faccia iniziatore del progetto. Più utile è l’istituto del referendum, che si fonda sul fatto che non si può essere sempre sicuri che i disegni di legge approvati dal Parlamento rappresentino veramente la espressione della volontà popolare; rappresentano la volontà di un ceto politico, ma questa non sempre coincide con quella del popolo. Ricorda che l’esperienza maggiore al riguardo è stata fatta dalla Svizzera, ove molti appelli fatti attraverso all’iniziativa popolare sono caduti nel nulla, mentre molte leggi sottoposte a referendum sono state respinte.

Mortati, Relatore, rileva che valgono per l’iniziativa popolare gli stessi argomenti che si prospettano per il diritto di petizione. Negli Stati moderni vi sono molti altri mezzi attraverso i quali una corrente di opinione pubblica può trovare la sua espressione, onde potrebbe anche farsi a meno dei due istituti. Tuttavia non trova che questo sia un motivo sufficiente per escludere a priori anche questa possibilità di far arrivare al Parlamento la voce dei cittadini.

Bozzi (Unione Democratica Nazionale) aderisce al punto di vista dell’onorevole Mortati, ma si domanda se sia il caso di considerare l’istituto, qualora si stabilisca che l’iniziativa legislativa spetta anche alle regioni.

Il Presidente Conti pone ai voti la proposta di introdurre nella Costituzione l’affermazione del diritto di iniziativa popolare.

(È approvata).

Invita i Commissari ad esprimere il loro parere circa il numero di cittadini necessario affinché il diritto di iniziativa possa esercitarsi. A suo avviso non dovrebbe richiedersi un numero di proponenti superiore ai 100 mila.

Targetti (Partito Socialista Italiano) osserva che, se i cittadini sono in numero rilevante, avranno il modo di far agire un partito nel senso voluto.

Mortati, Relatore, fa presente che, agli effetti della determinazione del numero di cittadini utile per la presentazione di una proposta di legge, occorre pensare alle conseguenze che si vogliono far discendere dall’istituto. Se si ammette che la non accettazione di una proposta da parte del Parlamento possa provocare un referendum, il numero di presentatori deve essere cospicuo.

Perassi (Partito Repubblicano) ricorda che in Svizzera si esige la proposta firmata da 30 mila elettori. Se si facesse la proporzione, si arriverebbe per l’Italia a circa 300 mila.

Conviene con l’onorevole Mortati che bisogna preliminarmente decidere in merito alle conseguenze: se, cioè, si vuol consentire il referendum in caso che la proposta sia respinta dalle Camere, oppure no.

Il Presidente Conti rileva che, agli effetti della determinazione del numero, bisogna tenere presente che il diritto di iniziativa potrà essere riconosciuto anche nell’ambito regionale.

Pone ai voti il principio che, qualora venga negato il corso alla proposta di iniziativa, si debba sulla stessa promuovere un referendum.

(Non è approvato).

Premesso che il numero va riferito al diritto di iniziativa esercitato nell’ambito nazionale, pone ai voti la sua proposta di fissarlo in 50 mila proponenti.

(Non è approvata).

Einaudi propone un minimo di 100 mila cittadini.

Il Presidente Conti lo pone ai voti.

(Non è approvato).

Mette in votazione l’aliquota di 300 mila cittadini, in armonia alle osservazioni fatte dall’onorevole Perassi sull’analogo istituto svizzero.

(È approvata).

Informa che, a seguito delle deliberazioni prese, la formula approvata è la seguente:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto articolato da parte di 300.000 elettori».

[Il 20 DICEMBRE 1946 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sul coordinamento degli articoli sul potere legislativo.]

Il Presidente Terracini (Partito Comunista Italiano). […] Pone in discussione l’articolo 25:

«L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere, alle Regioni, al Popolo.

L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto redatto in articoli da parte di almeno 100.000 elettori o 100.000 abitanti».

Mortati, Relatore, circa il primo comma dell’articolo 25, fa riserva di aggiungere eventualmente un altro inciso alle ultime parole «al popolo», se la Sottocommissione verrà nella determinazione di ammettere i Consigli consultivi, ai quali si potrebbe attribuire, in certi casi, un potere di iniziativa.

Il Presidente Terracini con tale riserva pone ai voti il primo comma dell’articolo 25.

(È approvato).

Bozzi fa presente che le ultime parole del secondo comma «o 100 mila abitanti» sono state evidentemente stampate per errore.

Il Presidente Terracini dichiara che le parole «o 100.000 abitanti» devono intendersi soppresse. Pone ai voti il secondo comma dell’articolo 25, con la correzione dell’errore rilevato dall’onorevole Bozzi.

(È approvato).

[Il 17 GENNAIO 1947 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato. È in discussione il tema del referendum. Vengono qui riportate solo le parti relative al tema in esame, mentre si rimanda al commento all’articolo 75 per il testo completo della discussione.]

Cappi (Democrazia Cristiana). […] Osserva infine, nei riguardi del referendum di iniziativa popolare, che, essendo stato approvato il principio dell’iniziativa parlamentare, vi sarà sempre nel Parlamento un rappresentante di quella corrente dell’opinione pubblica che ritenesse di dover proporre una determinata legge, il quale potrebbe proporla direttamente al Parlamento. Solo nel caso in cui questa legge fosse approvata o respinta con un numero di voti minore di una certa maggioranza da indicare, il referendum potrebbe essere chiesto.

[…]

Mortati, Relatore. […] Per quanto riguarda l’iniziativa parlamentare, dissente dal parere espresso dall’onorevole Cappi che un certo numero di elettori troveranno sempre un deputato disposto a proporre un determinato disegno di legge. Fa osservare a questo proposito che l’autorità dell’iniziativa di un solo deputato è ben diversa dall’autorità dell’iniziativa popolare. Quindi non è esatto che l’iniziativa parlamentare sostituisca quella popolare: centomila elettori hanno un peso politico ben superiore a quello di un gruppo di deputati. È quindi giusto che si apra la via a una iniziativa che ha un prestigio e una influenza politica molto superiore a quella dei singoli deputati.

[Il 20 GENNAIO 1947 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato. È in discussione il tema del referendum. Vengono qui riportate solo le parti relative all’articolo in esame, mentre si rimanda al commento all’articolo 75 per il testo completo della discussione.]

Lussu ritiene opportuno, per le considerazioni già da lui esposte, proporre la seguente formulazione di principî:

«1°) Il referendum è possibile solo per i Comuni e le Regioni.

«2°) L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto redatto in articoli da parte di almeno 100.000 elettori.

«Tale progetto deve essere subito presentato al Parlamento e per divenire legge segue la procedura normale.

[…]

Il Presidente Terracini mette in votazione la proposta dell’onorevole Lussu, come la più radicale, in quanto mira ad ammettere l’istituto del referendum soltanto nell’ambito dei Comuni e delle Regioni.

Uberti (Democrazia Cristiana) dichiara di votare contro, perché il referendum, anche se debba essere usato con parsimonia, costituisce un mezzo assai utile nei casi in cui sia necessario avere una manifestazione diretta della volontà popolare.

(Non è approvata).

[Il 21 GENNAIO 1947 la seconda Sottocommissione della Commissione per la Costituzione prosegue la discussione sull’organizzazione costituzionale dello Stato. È in discussione il tema del referendum. Vengono qui riportate solo le parti relative all’articolo in esame, mentre si rimanda al commento all’articolo 75 per il testo completo della discussione.]

Mortati, Relatore, osserva che la Sottocommissione dovrebbe ora prendere in considerazione l’articolo 3 del progetto da lui formulato, che è del seguente tenore:

«L’iniziativa popolare si esercita mediante la presentazione di un progetto, redatto in articoli, da parte di almeno 100 mila elettori.

«Ove tale progetto, che deve essere presentato subito dal Governo al Parlamento, non venga, nel termine di sei mesi dalla presentazione, preso in considerazione, o sia rigettato, o sottoposto ad emendamenti, si deve procedere al referendum su di esso, quando ciò sia stato stabilito originariamente o sia richiesto da almeno un ventesimo (o meglio da un decimo) degli elettori iscritti ed il progetto sia accompagnato dalla relazione di un comitato di tecnici della materia cui esso si riferisce.

«Si procede analogamente quando la richiesta degli elettori sia rivolta all’abrogazione di una legge già in vigore (o di singole parti di essa). L’abrogazione produce i suoi effetti dal momento in cui la deliberazione popolare che la dispone sia resa nota».

Illustrando la disposizione, osserva che, mentre l’articolo 2 del suo progetto ammette la richiesta del referendum da parte degli elettori su una legge approvata dal Parlamento, l’articolo 3 si riferisce al caso di una proposta che parta dal popolo e che non sia collegata ad una legge approvata dal Parlamento.

Il Presidente Terracini prospetta l’opportunità che anche per le leggi di iniziativa popolare si possa far funzionare il referendum nello stesso modo in cui funziona quando è stato provocato dalla deliberazione di una delle Camere, dal momento che, evidentemente, anche il progetto di legge di iniziativa popolare deve esser sempre sottoposto all’esame del Parlamento.

Mortati, Relatore, fa presente che si può anche ritenere che sul referendum richiesto dagli elettori su un progetto di legge di iniziativa popolare si pronunci direttamente il popolo senza passare attraverso il Parlamento.

Il Presidente Terracini non ha nulla in contrario ad esaminare tale ipotesi, ma osserva che sarebbe assai difficile far approvare per referendum un progetto di legge, perché gli elettori si troverebbero impacciati ad accettare o respingere nel suo complesso un progetto formato di un certo numero di articoli.

Mortati, Relatore, rileva che l’obiezione fatta dal Presidente si potrebbe sollevare anche nei riguardi del referendum su una legge approvata dal Parlamento.

Il Presidente Terracini risponde che la formulazione di una legge approvata dal Parlamento sarà evidentemente più chiara e più elaborata di quanto non possa esserlo un progetto di iniziativa popolare; e quindi l’espressione del parere della popolazione potrà essere nel primo caso più agevole che non nel secondo.

Einaudi concorda col Presidente, e distingue la formulazione del principio che è a base della proposta di iniziativa popolare, dalle particolarità di attuazione del principio stesso che, a suo avviso, spettano al Parlamento.

Mortati, Relatore, ricorda che anche in questo caso si richiede — e numerose Costituzioni lo esigono — che il progetto presentato attraverso l’iniziativa popolare sia redatto in articoli.

L’articolo 3 del suo progetto pone il seguente quesito: se su un progetto di iniziativa popolare, non preso in considerazione o rigettato dal Parlamento, si possa o meno procedere a referendum.

Il Presidente Terracini osserva che si tratta di risolvere due differenti ipotesi: la prima, secondo la quale un progetto di legge di iniziativa popolare viene direttamente e immediatamente sottoposto a referendum, dando così origine ad un procedimento di formazione della legge diverso da quello normale; la seconda, per cui può essere richiesto dagli elettori il referendum su un progetto di iniziativa popolare non preso in considerazione o rigettato dal Parlamento.

Perassi non è favorevole alla prima ipotesi, perché ritiene che il progetto di legge proposto e redatto in articoli dal popolo debba essere anzitutto sottoposto all’organo rappresentativo, il quale o l’adotta o lo modifica o fa un controprogetto; e che soltanto in un secondo tempo si possa giungere al referendum.

Fuschini (Democrazia Cristiana) è anch’egli contrario alla prima ipotesi fatta dal Presidente.

Il Presidente Terracini pone ai voti il principio che possa ammettersi la formazione di una legge direttamente per iniziativa popolare attraverso il referendum, senza ricorso all’esame del Parlamento.

(Non è approvato).

Considera ora la seconda ipotesi, che ha poc’anzi accennato, la quale risulta dall’articolo 3 del progetto Mortati.

Fuschini riterrebbe opportuno stabilire di quale natura ed importanza debbano essere le modificazioni apportate dal Parlamento al progetto di iniziativa popolare, per evitare che il referendum sia richiesto anche quando al provvedimento sono stati apportati emendamenti di carattere non sostanziale.

Il Presidente Terracini rileva che — dal momento che nell’articolo 3 proposto dall’onorevole Mortati il caso di approvazione con emendamenti è equiparato a quello del rigetto — il Parlamento o accoglierà o respingerà in blocco la proposta di iniziativa popolare; e — entrando in funzione il referendum, — gli elettori si pronunceranno anch’essi sul progetto nel suo complesso, dando così origine ad una procedura analoga a quella che la Sottocommissione ha respinto con la precedente votazione.

Tosato (Democrazia Cristiana) ritiene che il referendum — concepito come un correttivo, nel senso di ammettere il popolo a collaborare alla formazione delle leggi — debba ammettersi soltanto nel caso che il popolo si manifesti in senso contrario ad una legge approvata dal Parlamento. Non è quindi favorevole all’iniziativa popolare così come è concepita dall’articolo 3 del progetto Mortati. Aggiunge che quanto ha osservato ha valore limitatamente alle leggi dello Stato, e non per ciò che riguarda l’ordinamento regionale.

Mortati, Relatore, non vede quale ragione logica, giuridica o politica induca a trattare in modo differente il caso di referendum richiesto su un progetto di legge approvato dal Parlamento da quello di referendum richiesto su un progetto di iniziativa popolare, al quale il Parlamento si sia manifestato contrario. I due casi, infatti, partono dal medesimo presupposto, cioè da una posizione di contrasto tra il Parlamento ed un determinato numero di elettori.

Il Presidente Terracini concorda con l’onorevole Tosato nel ritenere che, quando si è ammessa la richiesta di referendum su una legge approvata dal Parlamento, si intendeva implicitamente escludere che il referendum potesse essere indetto su una legge respinta dal Parlamento.

Ritiene poi — pur ammettendo che lo stimolo popolare sia necessario — che, per le ragioni a cui ha accennato in precedenza, non si possa giungere senz’altro alla conclusione che l’iniziativa popolare possa, attraverso il referendum, sboccare direttamente in una legge, senza l’intervento degli organi legislativi.

Fabbri (Monarchico – Misto) osserva che non è storicamente esatto che al diritto di veto — in cui si risolve, a suo avviso, il referendum di iniziativa popolare in opposizione ad una legge approvata dal Parlamento — abbia sempre corrisposto un diritto positivo di fare. Si tratta di due casi diversi, storicamente e costituzionalmente; e ritiene quindi che dalla concessione ad un certo organo di un diritto di veto da esercitare in determinate situazioni non debba derivare come conseguenza imprescindibile il diritto da parte di quell’organo di fare una legge per conto proprio.

Mortati, Relatore, fa presente che il caso ipotizzato dall’articolo 3 del suo progetto tende a stabilire la possibilità di richiedere — da parte degli elettori che hanno veduto non accolto dal Parlamento un progetto di iniziativa popolare — il referendum su tale progetto. Osserva in proposito che non può ritenersi materia grezza quella sulla quale dovrà esercitarsi la deliberazione popolare, perché si tratta di un progetto, redatto in articoli già elaborati, che, nel caso di esito favorevole del referendum, deve diventare legge.

Quanto alle considerazioni fatte dall’onorevole Fabbri, osserva che al popolo è stato attribuito non solo il diritto di veto, ma anche quello di iniziativa, che può trovare il suo sbocco anche quando manchi ad essa il consenso del Parlamento.

Il Presidente Terracini, premesso che la Sottocommissione ha già escluso il referendum per i progetti di legge di iniziativa parlamentare che siano stati respinti dal Parlamento, fa presente che ora si tratta di decidere se per i progetti di iniziativa popolare respinti o modificati dal Parlamento sia ammesso o meno il referendum.

Fabbri osserva che l’ipotesi di un progetto modificato dal Parlamento è diverso dall’ipotesi di un progetto respinto dal Parlamento. Il primo caso rientrerebbe in quello di una legge approvata, cioè nella norma generale riguardante il diritto di referendum sulle leggi approvate dal Parlamento.

Il Presidente Terracini prospetta l’opportunità di intendere compresi nella formula approvata nell’ultima seduta tanto i progetti di legge di iniziativa parlamentare quanto quelli di iniziativa popolare, i quali (sia gli uni che gli altri) abbiano subìto emendamenti nel corso delle discussioni innanzi al Parlamento.

Pone quindi ai voti il principio che sia ammesso il referendum sui progetti di legge di iniziativa popolare respinti dal Parlamento.

(Non è approvato).

[…]

Fuschini. […] Fa presente che l’iniziativa popolare può esplicarsi sia con la richiesta di un nuovo progetto di legge, che con quella di abrogazione di una legge vigente. Nella prima ipotesi sono implicitamente previsti i due casi di presentazione di un nuovo progetto su materia nuova o su materia già elaborata; nella seconda si prevede poi sia il caso in cui l’abrogazione non comporti la necessità di una nuova legge che sostituisca la vecchia, che quello in cui vi sia tale necessità. Ritiene che tali ipotesi possano esser regolate diversamente, ma è, a suo parere, necessario che quando l’iniziativa popolare ravvisi la necessità di una nuova legge, il Parlamento debba interessarsene.

Perassi nulla ha da obiettare circa il fatto che l’iniziativa, di cui al primo comma dell’articolo 3, possa esplicarsi sia nel senso della presentazione di un progetto redatto in articoli, sia nel senso della richiesta di abrogazione di una legge esistente. Fa invece le sue riserve circa la possibilità di abrogare una legge unicamente per voto del popolo, perché quasi sempre l’abrogazione di una legge porta con sé problemi di diritto transitorio che — se non previsti nel progetto presentato per iniziativa popolare — possono dar luogo a difficoltà pratiche notevoli. Esprime perciò l’avviso che nel primo comma dell’articolo 3 si debba stabilire che il diritto di iniziativa popolare consiste non solo nella presentazione di un disegno di legge, ma anche nella richiesta di abrogazione di una legge esistente.

Testo definitivo del Progetto di Costituzione elaborato dalla Commissione:

Art. 68. (ndr diverrà successivamente il numero 71)

L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti cui sia conferita da legge costituzionale.

Il popolo ha sempre l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un disegno redatto in articoli.

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