a cura di Luca Borsi – Servizio Studi Senato
Il referendum popolare nelle vedute del Costituente
Il presidente della Commissione dei Settantacinque Meuccio RUINI (Misto), nel raffigurare la forma di governo parlamentare come “un edificio a due piloni”, rilevava come la forma dualistica ottocentesca, imperniata su Parlamento e monarchia, dovesse mutare ed evolversi, una volta crollato il “pilone” regio. “Che cosa bisogna fare? Ristabilire in altra forma, democraticamente, il pilone crollato ed allargare le fondamenta della casa, rinsaldandole ed affondandole sempre più nella sovranità popolare. Far capo al Parlamento, che è l’espressione preminente, ma non la sola, della sovranità popolare. Il sovrano non è il Parlamento; è il popolo che ha due emanazioni essenziali della sua sovranità: l’elezione dell’organo parlamentare e il referendum. Nella nuova Costituzione bisogna far posto, così, anche al referendum” (Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 19 settembre 1947).
Per Costantino MORTATI (Democrazia Cristiana), il referendum popolare era uno degli istituti atti a “far sì che il popolo non sia una istanza pura e semplice di preposizione dei titolari della Camera rappresentativa, ma divenga invece un organo di decisione politica, organo di ultima istanza”, chiamato “a dire la sua parola decisiva quando si presentano questioni di vasto rilievo politico”.
Così si esprimeva quel costituzionalista costituente, rilevando, per questo riguardo, che la forma di governo che si andava tracciando “non si conforma al tipo di regime parlamentare puro, ma invece realizza un tipo di regime parlamentare misto, o semidiretto” (Assemblea Costituente, seduta pomeridiana del 18 settembre 1947).
I quorum del referendum abrogativo nel dibattito presso l’Assemblea Costituente
Premessa
Allorché l’Assemblea Costituente si volse a disciplinare l’istituto del referendum legislativo, la maggiore sua attenzione si appuntò su alcuni profili.
Essi furono: l’iniziativa (soprattutto, se ammetterla da parte del Capo dello Stato; o anche, del Governo o di una minoranza parlamentare); la previsione o meno di un referendum preventivo (su leggi approvate dalle Camere e non ancora entrate in vigore); l’eventuale previsione di una funzione arbitrale (in caso di contrasto tra le deliberazioni delle due Camere, nel procedimento legislativo).
Il dibattito fu meno esteso, e tuttavia presente, riguardo alla determinazione di valori soglia per la richiesta, la partecipazione, l’approvazione referendarie.
Il dibattito nella II Sottocommissione
L’originaria proposta formulata dal relatore MORTATI, presentata nella II Sottocommissione (ordinamento costituzionale dello Stato), prevedeva solo due soglie:
- un quorum di richiesta: un ventesimo degli elettori (ovvero un certo numero di Assemblee regionali);
- un quorum di approvazione: la maggioranza dei voti espressi.
Del primo quorum (relativo alla richiesta) la Sottocommissione discusse nella seduta del 18 gennaio 1947.
Prevalse l’orientamento che quella determinazione numerica (equivalente a circa un milione e mezzo di elettori) fosse troppo elevata, ed insieme l’intento di mantenere una soglia, onde evitare un ricorso eccessivo allo strumento referendario.
Fu MORTATI a suggerire non una proporzione bensì una cifra fissa, pari a 500.000 elettori (la medesima cifra era stata approvata per la richiesta referendaria nel procedimento di revisione della Costituzione). La proposta passò.
Circa il secondo quorum (relativo all’approvazione), obiezioni all’originaria formulazione mortatiana furono mosse (nella seduta del 17 gennaio 1947) da Gustavo FABBRI (monarchico – Misto). Egli osservò come il principale e pregiudiziale problema fosse “sapere quale sia il peso, che nella proposta dell’onorevole Mortati è completamente negativo, dato a coloro che si astengono dalla votazione. Se si ammette che un referendum, al quale abbia partecipato uno scarso numero di elettori, abbia la possibilità, con la maggioranza di coloro che vi hanno partecipato, di sconvolgere l’espressione stessa della sovranità nazionale quale emana dal Parlamento, che si può supporre eletto da venti o venticinque milioni di elettori, si ammette un principio che può essere gravido di conseguenze molto importanti e pericolosissime“.
In quella stessa seduta (17 gennaio 1947), si pronunciò sul punto Edgardo LAMI STARNUTI (Partito Socialista Italiano), persuaso che le astensioni non dovessero essere tenute in conto: “chi non vota non può pesare sulle deliberazioni del corpo elettorale. E’ vero che l’assenza di una grande parte del corpo elettorale dal referendum toglie a questo molto del suo valore; ma a tale inconveniente si rimedia col fissare una quota elevata di elettori per la richiesta di referendum, come è appunto quella di un ventesimo proposto dall’onorevole Mortati, la quale garantisce che si tratta di un problema che ha veramente agitato la coscienza popolare”.
Tra gli interventi a seguire, Emilio LUSSU (Partito Sardo d’Azione – Autonomista) concordò con la proposta iniziale (approvazione a maggioranza dei voti espressi).
Giuseppe FUSCHINI (Democrazia Cristiana) propose invece “la partecipazione al referendum di non meno di due quinti degli elettori iscritti (40%), per evitare che una piccola minoranza possa modificare la situazione politica esistente”.
Affiorò così l’ipotesi di un quorum di partecipazione.
Ruggero GRIECO (Partito Comunista Italiano) si disse contrario, paventando che la determinazione di un quorum di partecipazione referendaria si riverberasse anche sulla consultazione elettorale, “perché, fissando un quorum per il referendum, bisognerebbe fissarlo anche per le leggi elettorali“.
Medesima opinione fu espressa dal Presidente Umberto TERRACINI (Partito Comunista Italiano). “Non si comprende perché – egli rilevava – un deputato eletto col voto del trenta per cento degli elettori debba essere riconosciuto come capace di esprimere la volontà di un determinato raggruppamento della popolazione, mentre poi quando il trenta per cento di quel gruppo popolare esprime direttamente la sua volontà, questa non dovrebbe avere valore”.
Concordava MORTATI, ritenendo che il quorum, “se adottato, dovrebbe valere anche per le elezioni”, dichiarandosi pertanto egli “favorevole al quorum, solo a patto che si introduca (per le elezioni) il voto obbligatorio”.
Mortati aggiungeva: “Per quanto riguarda la questione dei votanti, cioè dei voti espressi, dichiara di essere favorevole a comprendere gli astenuti allo scopo di elevare la percentuale dei voti necessari per l’approvazione”.
La deliberazione in II Sottocommissione vi fu nella seduta del 21 gennaio 1947.
La proposta originaria – ovvero solo maggioranza dei voti espressi – fu emendata, per sollecitazione ancora di FABBRI (convinto della necessità “di fissare, analogamente a quanto dispongono le legislazioni che ammettono il referendum, un quorum di elettori, allo scopo di dare al referendum stesso una rilevanza giuridica”), cui si associarono FUSCHINI e Umberto NOBILE (Partito Comunista) (contrario invece GRIECO).
Fu così approvato in II Sottocommissione un quorum di partecipazione (determinato in due quinti), originariamente non previsto nella proposta del relatore.
Riguardo al quorum di approvazione, fu prospettata da Tomaso PERASSI (Partito Repubblicano) “l’opportunità di dire espressamente che non si tiene conto delle schede nulle e di quelle bianche”. Di qui la proposta di FABBRI, che suggeriva la previsione di una maggioranza dei “voti validi espressi”.
Pertanto, il testo licenziato dalla II Sottocommissione prevedeva:
- un quorum di richiesta di 500.000 elettori;
- un quorum di partecipazione, pari a due quinti degli aventi diritto;
- un quorum di approvazione, pari alla maggioranza dei voti validi espressi.
Il dibattito in Assemblea plenaria
Dopo un passaggio in adunanza plenaria della Commissione dei Settantacinque (sua seduta pomeridiana del 29 gennaio 1947), il dibattito si svolse in Assemblea.
In Assemblea plenaria, quorum di richiesta e quorum di approvazione furono (nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947) approvati immodificati, senza particolare dibattito.
Sul quorum di partecipazione invece si aprì una discussione, sulla scorta di un emendamento (a firma Paolo Rossi (Partito Socialista Lavoratori Italiani), Lucifero (Liberale), Persico (PSLI), Buffoni (Partito Socialista Italiano), Cosattini (PSI), Carpano Maglioli (PSI), Bianca Bianchi (PSI), Renato Morelli (Liberale), Lami Starnuti (PSI), Preti (PSLI), Condorelli (Liberale)), volto ad elevare la soglia minima da due quinti a tre quinti degli aventi diritto.
Paolo ROSSI (PSLI) così rilevava: con i due quinti sarebbe stato possibile che “una proposta abrogativa fosse coronata da successo con la partecipazione al voto del 40 per cento degli elettori iscritti. Siccome l’esperienza ci insegna che il 4, 5 o 6 per cento di schede sono nulle, potrebbe accadere […] che una legge, eventualmente approvata con una larghissima maggioranza dai due rami del Parlamento, fosse abrogata col 17 o 16 o 15 per cento degli elettori […] fatto, che sarebbe, a mio avviso, veramente deplorevole”.
Inoltre: “Il referendum abrogativo – Rossi aggiungeva – è un’arma assai delicata. Se i partiti sapranno che una legge non può essere rovesciata senza la partecipazione alle urne di almeno il 60 per cento degli elettori iscritti, sarà più difficile che essi ricorrano alla consultazione popolare senza avere una fondata speranza di riuscire”.
RUINI, Presidente della Commissione per la Costituzione, concordò con l’elevamento del quorum dei votanti.
Fu PERASSI ad obiettare che, se i due quinti erano da aumentare (del resto era quorum concepito quando ancor si prospettava anche un referendum legislativo preventivo), di contro i tre quinti sarebbero stati una soglia eccessiva. Egli propose di elevarla alla maggioranza degli aventi diritto.
L’Assemblea approvò (ancora nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947) tale formulazione.
Versione pdf: “I quorum del referendum abrogativo nel dibattito presso l’Assemblea Costituente” – Servizio Studi Senato
ARTICOLO 75 Costituzione
E` indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali.
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto , di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi.
La legge determina le modalità di attuazione del referendum.