La domanda è di Sebastiano Messina a Walter Veltroni a conclusione di una interessante intervista su Repubblica.it il 26 giugno: “Lo dicono in molti, ma non tutti chiedono la stessa cosa. Come bisognerebbe cambiarla la legge elettorale?”
“Bisogna tener conto che oggi il Paese non è più bipolare ma tripolare. Le soluzioni possono essere diverse. Purché non venga meno il punto dal quale si è partiti: dalle elezioni deve uscire un governo, lo devono scegliere i cittadini e deve durare per cinque anni. Lo scettro deve tornare agli elettori, e non alle alchimie dei partiti. E’ la democrazia che deve rigenerarsi. Il ricorso alla democrazia diretta come fuga dalla responsabilità della politica è sbagliato. Immagini se Roosevelt avesse promosso un referendum per chiedere se i giovani americani dovevano andare a morire per la libertà dell’Europa…“.
È molto chiara la posizione di Veltroni. Il giorno dopo le votazioni ci deve essere un governo ma evidentemente si intende un premier perché nessuno partecipa ad una elezione con la squadra già formata. Quindi il Popolo sarebbe chiamato a scegliere il leader anche se non è esattamente quanto previsto dalla nostra Costituzione.
La questione che però io trovo davvero interessante, è la sua avversione alla democrazia diretta. Pur riconoscendo la necessità di rigenerazione della democrazia e pur essendo stato segretario del partito democratico, sottolineo democratico, egli non ritiene praticabile la democrazia delle decisioni condivise a suffragio universale e a sostegno immagina uno scenario preciso: USA dicembre del 1941. Essendo la sua solo un’ipotesi, chiedo perché non immaginare Roma nel maggio 1915 quando si sapeva che la maggioranza degli italiani non voleva la guerra e le offerte dell’impero per una nostra neutralità furono più che accettabili?
Veltroni non ritiene immaginabile che Roosevelt potesse condividere con il Popolo la decisione di entrare in guerra perché è un elitista. Ci sta, si è dimostrato politico capace ed è stato leader riconosciuto. Aggiungiamo poi che la decisione di entrare in guerra È SEMPRE stata presa dagli eletti e il discorso non fa un piega.
Il costume di lasciare che certe scelte le facciano i rappresentanti è inveterato e si sa, non vi è nulla di così assurdo che l’abitudine non renda accettabile. Pensate che nelle modifiche della Costituzione che andremo a votare a ottobre, si modifica l’articolo 78 della Carta che prevederà la deliberazione dello stato di guerra sarà presa dalla Camera dei Deputati con la semplice maggioranza assoluta. Nessuna possibilità che il Popolo possa avete l’ultima parola su un tema così potenzialmente devastante e a nulla vale ricordare che sono stati i rappresentanti a trascinare i Popoli nella tragedia delle guerre mondiali. L’hanno fatto senza mai consultare la cittadinanza. La delibera dello stato di guerra se spettasse al Popolo sarebbe un lungimirante baluardo di Pace ma è difficile anche solo immaginarlo.
Che sia possibile però ce lo dice la realtà. Gli elvetici hanno la neutralità scolpita nella Costituzione e per infrangere questa regola, corre l’obbligo di approvazione da parte del Popolo. Questo non significa che siano pacifisti anzi, la storia li consacra guerrieri rispettati, ma difendersi non è invadere.
Tornando alla democrazia diretta, sappiamo, da chi la pratica con regolarità e costanza, che il percorso è estremamente lineare. Per prima cosa l’iniziativa deve partire dai cittadini con una raccolta firme. Non sarà mai il Roosevelt di turno a decidere una consultazione. Raggiunto il numero necessario, si dice che ha avuto successo. Segue il periodo di approfondimento che sarà franco, puntuale e approfondito. Prima della votazione poi, il Governo spedirà a casa di ogni elettrice ed ogni elettore un opuscolo con la spiegazione del problema, gli argomenti del governo e quelli del comitato. Con il libretto, tutti sapranno che c’è l’appuntamento e su quale tema. Essendo la votazione valida con qualsiasi numero di votanti, l’astensione là, acquista valore civico di rispetto per i buoni decisori. Chi deciderà di partecipare farà parte di quella cittadinanza consapevole pronta a prendere una decisione di buon senso nell’interesse di tutta la comunità.
Concludiamo con una riflessione sulla possibilità di scegliere direttamente il Governo. Il Popolo che pratica le decisioni condivise nella maniera più ampia possibile, su istanza popolare, si è trovato a decidere su questo specifico tema. La proposta è stata respinta con votazione (sempre senza quorum) sia nel 1847, che nel 1898, che nel 1939 che il 9 giugno 2013. Questa piccola Europa ha un bicameralismo perfetto, un sistema elettorale proporzionale e un Governo di larghe intese con una stabilità proverbiale. Forse il merito non è dei rappresentanti ma dei rappresentati che rimanendo sempre attivi garantiscono quella manutenzione all’impianto democratico che Veltroni chiama rigenerazione.
Sulla guerra. Veltroni cosa penserà della scelta di Blair e Bush di iniziare la guerra in Iraq? Secondo Veltroni il popolo sbaglia a prescindere mentre i rappresentanti politici no. La guerra in Iraq è la dimostrazione del contrario. Nel 2003 mi trovavo in Spagna. Le piazze erano piene di cittadini che manifestavano contro l’intervento bellico. Era peraltro l’unico modo di opporsi alla guerra visto che in Spagna i cittadini non possono chiedere un referendum, nè confermativo nè propositivo. Aznar se ne fregò e decise di affiancare USA, GB e Italia nella guerra. Il fatto che Aznar e gli altri eletti (Bush, Blair, Berlusconi, etc.) non abbiano tenuto in considerazione la volontà popolare è un’aggravante e credo fermamente che gli eletti che decisero quell’intervento debbano essere processati alla Corte internazionale penale. In tal senso sarebbe potersi appellare direttamente alla Corte internazionale con un’istanza popolare dato che i Governi non prendono l’iniziativa.
Sulla procedura. Quando Veltroni dice “Immagini se Roosevelt avesse promosso un referendum per chiedere se i giovani americani dovevano andare a morire per la libertà dell’Europa” non ha chiara la differenza tra referendum e plebiscito. Nel momento in cui un eletto (o un’autorità) decide di convocare una votazione popolare di propria iniziativa si deve parlare di plebiscito e non di referendum. Quest’ultimo infatti si verifica solo nel momento in cui la votazione viene richiesta dai cittadini o si svolge automaticamente (es. nei casi modifica costituzionale come in USA, Irlanda e/o Svizzera) secondo le prescrizioni previste dalla legge.
Non condivido nemmeno la lettura che il ricorso alla democrazia diretta sia una scelta per non assumersi responsabilità. Il punto è che nel momento in cui i cittadini decidono di avviare una procedura referendaria significa che si vogliono assumere la responsabilità di decidere e devono aver riconosciuto questo diritto indipendentemente dalle interpretazioni elitiste di Veltroni.
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Ahimè il commento di Veltroni non è affatto isolato, anzi, credo rappresenti la normalità. Gli eletti ma anche gli elettori accettano come norma che la guerra la decidano i primi. Nella più grande manifestazione della storia dell’umanità, 15 febbraio 2003, cui immagino Alex ti riferisca, era chiaro il messaggio “not in our name” ma a nessuno venne in mente di aggiungere la richiesta di stabilire che ai Popoli spetti l’ultima parola su questo tema per realizzare che non sia più solo uno slogan ma un ordine.
Negli USA i sondaggi davano i contrari alla guerra ampiamente in maggioranza rispetto ai favorevoli ma il commento della stampa fu che le istituzioni sono più forti delle emozioni della gente. Certo un sondaggio non è un referendum che invece di una risposta a una domanda posta a bruciapelo, prevede un periodo di approfondimento ma come sarebbe andata se gli USAni avessero potuto fare una votazione possiamo solo immaginarlo.
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