Il 1° maggio 1945, il giorno dopo la morte di Hitler, tre giorni dopo la morte di Mussolini e mentre i primi partigiani titini raggiungevano Trieste, l’ultimo ministro degli esteri del Regno d’Italia Alcide De Gasperi pronunciava ai mifrofoni di Radio Roma l’appello ai fratelli del Nord. De Gasperi, con tono entusiasta per l’approssimarsi della conclusione dell’occupazione straniera e della guerra civile, reclamava credito alle forze di liberazione. A suo avviso, si trattava di un credito maturato da un popolo sobrio, risparmiatore e amante della famiglia e caratterizzato da spirito d’iniziativa industriale, creatività e inventiva. La prova di simili affermazioni si poteva riscontrare nel fatto che il lavoro e l’ingegno degli italiani avevano arricchito il suolo d’Europa, d’America e d’Australia.
Nel riconoscere i vincitori come amici e fratelli De Gasperi sottolineava quanto fosse necessario dimostrare loro la capacità degli italiani di costruire un Paese fondato sulla libertà democratica e sulla fraternità sociale e lasciarsi alle spalle un passato fatto d’odio, di faziosità, di plutocrazia e tirannia.
De Gasperi descriveva così i suoi propositi per il futuro dell’Italia: “Bisogna rinsaldare in loro (nei vincitori ndr) la fiducia nella nostra maturità, nella nostra solidità, nella nostra capacità di governarci nella libertà e nell’ordine. Questi uomini non fanno il mestiere della guerra come i tedeschi, non desiderano che tornare presto ai loro affari e alle loro famiglie. Domani racconteranno in patria la loro esperienza italica e quest’esperienza sarà decisiva per la nostra ripresa. Che importa se ci hanno sbarrato la via di San Francisco?* Abbiamo qui centinaia di migliaia di ambasciatori che ritorneranno dopo averci conosciuti nelle persone e nelle opere. Ecco l’importanza decisiva di questi prossimi mesi! Niente convulsioni faziose o improvvisazioni giacobine, ma libere decisioni di popolo, secondo le leggi della democrazia, che dalle montagne della Svizzera si trapiantarono nelle regioni d’America; niente violenza squadrista e totalitaria, rigurgito d’un vortice che dev’essere superato per sempre”.
A distanza di più di sessant’anni si può affermare senza paura d’essere smentiti come l’appello sia caduto nel vuoto delle coscienze dei politici e degli amministratori, nazionali e locali, che si sono succeduti e che si sono spesso fatti beffe degli ideali democratici. Ciò è vero anche per i trentini, che ebbero peraltro una menzione speciale nel messaggio: “un saluto nostalgico ai miei montanari trentini, che per poco ancora stanno rinchiusi entro le inimica chiostra delle Alpi”.
Per quanto concerne la rigenerazione democratica, purtroppo il Trentino, nonostante partisse da una forte tradizione di autogoverno delle comunità locali (quelle che il Governo austriaco nel 1805 definì “illecite combriccole di popolo”) non si è infatti distinto dalle altre regioni italiane per lo sviluppo di istituti democratici di rilievo. Il modello democratico svizzero e nordamericano invocato nel radiomessaggio non è stato realizzato nemmeno in minima parte. Al contrario, forme di plutocrazia e di tirannia rimangono latenti nascondendosi dietro forme di opacità della pubblica amministrazione e processi decisionali centralizzati.
Il rifiuto di affidarsi alle libere decisioni di popolo auspicate da De Gasperi, mette in evidenza, oggi più di allora, le convulsioni faziose della politica locale. Tutto ciò mentre l’iter del disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta non si è ancora concluso sebbene il suo avvio risalga all’anno 2012. Infelicemente, questo limbo dimostra come le più recenti istanze per più democrazia, nei comuni e in provincia, siano rimaste incomprese, come del resto lo spirito dell’appello del 1945.
L’aspetto più irritante non consiste però nel mero mancato compimento dei sogni degasperiani di realizzare un futuro di libertà e democrazia e delle più modeste richieste dei firmatari del disegno di legge popolare. Indispongono maggiormente l’ipocrisia e l’arroganza dei governanti odierni che considerano il popolo incapace di prendere libere decisioni ritenendolo soggetto debole, immaturo e non in grado di giudicare il valore delle diverse politiche pubbliche. Tale attitudine di superbia è in antitesi con quella di De Gasperi che, con espressioni solenni, faceva affidamento alle capacità e alle virtù del popolo italiano e con quella dei promotori dell’iniziativa popolare che credono che la responsabilità e la partecipazione diretta ai processi decisionali sia indispensabile per una vita pubblica democratica.
Del resto se De Gasperi fosse ancora in vita non ci sono dubbi che i nostri governanti di oggi derubricherebbero le sue limpide idee di democrazia a “becero populismo”, proprio loro che guidano la nazione e la provincia di scandalo in fallimento, senza vergogna né dignità.
Alex Marini – Più Democrazia in Trentino
*il riferimento è al mancato invito all’Assemblea fondativa delle Nazioni Unite
Trascrizione integrale del radiomessaggio del 1° maggio 1945 di Alcide De Gasperi
(da SCRITTI E DISCORSI POLITICI – Volume III “Alcide De Gasperi e la fondazione della democrazia italiana, 1943-1948” a cura di Vera Capperucci e Sara Lorenzini)
Intervento pubblicato sul Corriere del Trentino, il 26 luglio 2016
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