Rossi si nasconde dietro presunte incompatibilità statutarie

Presidente-300x183La seduta del 4 giugno della Prima commissione legislativa ha fatto emergere l’ambiguità con cui il governo provinciale sta affrontando le questioni poste dall’iniziativa popolare di Più Democrazia in Trentino. Nonostante l’iter legislativo proceda con una conferenza di informazione convocata in extremis grazie alla caparbietà del comitato, i segnali di resistenza all’iniziativa e la riluttanza a recepire le raccomandazioni del Codice di Buona Condotta in materia di Referendum si stanno palesando.

Alla lettera inoltrata in data 3 giugno con la quale il comitato ha ribadito i punti qualificanti del testo di legge – introduzione del referendum propositivo e del referendum confermativo, abolizione del quorum, soglia massima di 8 mila firme per richiedere una votazione e rimozione dei limiti di materia – , non ha fatto seguito alcuna presa di posizione da parte dei consiglieri provinciali. L’unica risposta, peraltro evasiva, è arrivata dal capo dell’esecutivo della provincia che in questa circostanza ha ritenuto di partecipare personalmente al dibattito.

Rossi non ha mancato di sottolineare come l’assetto autonomistico della provincia abbia finora dimostrato di permettere una maggiore vicinanza ai cittadini rispetto alle altre regioni italiane legiferando nell’interesse collettivo e dando perciò una grande prova di sé. Ha tuttavia enunciato due esigenze da soddisfare. La prima è quella di delineare un meccanismo per assicurare la certezza del risultato nei processi decisionali iniziati dai cittadini mentre la seconda è di estendere al massimo la partecipazione in linea teorica ma di predisporre simultaneamente strumenti per valutarne e limitarne l’efficacia.

Il presidente ha messo in dubbio la possibilità di garantire agli istituti del referendum propositivo e del referendum confermativo effetti vincolanti, facendo ricorso a motivazioni giuridiche di incompatibilità con la carta statutaria. Nella sostanza, secondo tale interpretazione radicalmente restrittiva dell’articolo 47 dello Statuto, l’ipotesi paventata dal presidente è che i cittadini non possano emanare direttamente leggi poichè il Consiglio provinciale sarebbe l’unico organo istituzionale investito di tale potere. Paradossalmente, tale riserva assoluta non consentirebbe ai trentini nemmeno di far uso di uno strumento previsto in provincia di Bolzano con la legge del 2005 (e già utilizzato nel 2009) quale il referendum propositivo legalmente vincolante.

Ricorrendo a simili argomentazioni, Rossi si è temporaneamente smarcato dalle responsabilità politiche tirando in ballo questioni giuridiche ed ha passato la palla al dirigente del servizio legislativo della giunta provinciale. A sommi capi Giuseppe Sartori ha perciò sostenuto le ragioni del presidente da un punto di vista tecnico di fronte ai componenti della commissione. Rossi ha poi ripreso la parola rimandando però l’esternazione di una posizione ufficiale più dettagliata ad un momento successivo al confronto con la coalizione di maggioranza. Presumibilmente, in tale occasione si dovrebbe trovare un punto di convergenza.

L’intervento di Rossi ha inoltre ricordato i costi generati dalle votazioni popolari (si stima 2 milioni per consultazione), la necessità di comprenderne i benefici nonché una sfumata apertura dei consiglieri per un abbassamento del quorum. Ha infine rilevato il bisogno di monitorare gli effetti che scaturirebbero da un processo democratico corrispondente alle raccomandazioni del Consiglio d’Europa, sollevando incertezze sulla validità delle stesse. A seguito di tali dichiarazioni, nessuno tra i consiglieri presenti ha manifestato alcuna considerazione.

Nel corso della seduta il comitato ha concordato con la proposta del presidente della commissione Luca Zeni di scoporare le parti relative alle petizioni (art. 6, 7 e 8) e alle consultazioni (art.14) al fine di inserirle nelle proposte di modifica del regolamento interno del Consiglio provinciale. Il comitato si riserva pertanto di inviare una nota scritta per esprimere i propri suggerimenti in tal senso.

Infine, prima di decretare la chiusura della sessione di lavoro, Zeni ha dichiarato che se la maggioranza dovesse giungere alla conclusione di non poter accettare quanto ritenuto qualificante dal comitato, si dovrebbe anche valutare politicamente se non sia più corretto lasciare che l’iniziativa popolare vada a referendum come previsto dalla legge n.3 del 2003.

In appendice all’incontro il comitato è stato informato della decisione del Consiglio provinciale di non procedere con la richiesta di un parere scritto alla Commissione europea per il Diritto attraverso la Democrazia (Commissione di Venezia). Tutto ciò in contrasto con l’impegno preso nel corso della videoconferenza con Pierre Garrone il 26 febbraio scorso e senza aver avvisato preventivamente i relatori del ddl che si erano adoperati per contattare con i funzionari del Consiglio d’Europa.

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