Sono in discussione da qualche tempo in consiglio provinciale le modifiche alla legge elettorale per introdurre la doppia preferenza di genere.
Più Democrazia in Trentino non è un partito e non ha perciò tra le sue prerogative quella di elaborare contenuti “di parte”: l’associazione raccoglie intorno a sé anime e appartenenze diverse che si confrontano e poi si adoperano per dare spazio a un metodo democratico moderno, largo e inclusivo che rimetta al centro i diritti politici dei cittadini.
Cominciamo col dire che riteniamo non sia una buona pratica di democrazia lasciar decidere della legge elettorale ai rappresentanti eletti: è del tutto evidente che i rappresentanti prenderanno a fare leggi elettorali che rispecchino i loro personali interessi o al più quelli del partito al quale appartengono.
Questa considerazione, apparentemente forte, è in realtà largamente condivisa nei paesi democratici, tanto è vero che in molti di questi le modifiche dei sistemi elettorali sono fatte da giurie di cittadini estratti a sorte e poi approvate con referendum. È avvenuto in alcune province federali del Canada negli anni passati; è tornato a proporlo il premier Justin Trudeau nel suo programma elettorale prevedendo una riforma della legge elettorale canadese da farsi con gli stessi metodi utilizzati nelle province federali (proposta che a onor del vero ancora non è divenuta realtà). Negli Stati Uniti d’America, dove vige il sistema di collegi uninominali, in molti stati la definizione dei distretti, soggetta al ben noto fenomeno del gerrymandering (ossia il ridisegno strumentale dei collegi elettorali per ottenere più voti), è affidata a commissioni di cittadini estratti a sorte. Possiamo anche citare la recente esperienza dell’Irlanda: è stata attivata una commissione per le riforme costituzionali, per due terzi composta da cittadini estratti a sorte, che si è occupata anche della riforma della legge elettorale. In Svizzera i principi della legge elettorale sono fissati in Costituzione, le cui modifiche sono soggette a referendum obbligatorio, mentre la disciplina è soggetta a referendum facoltativo.
Potremmo fare molti altri esempi, anche di studi di scienze politiche, ma crediamo che il punto sia chiaro e possiamo tornare alle considerazioni sulla questione provinciale.
Preso atto dell’impossibilità di trovare un accordo largamente condiviso in Consiglio provinciale e data l’importanza dell’argomento, riteniamo che il ricorso al referendum, previsto per le c.d. Leggi sulla forma di governo dall’art. 47 dello Statuto di Autonomia (Introdotte con legge costituzionale 2/2001 e attuate con legge provinciale 2/2003), sia la soluzione più adeguata per affrontare questo tema. E risolverlo.
Riteniamo che tutte le componenti politiche che siedono in Consiglio, a prescindere dalla loro posizione specifica sul tema in oggetto, non possano negare il principio della sovranità popolare e che quindi il voto referendario sarebbe corretta rappresentazione della volontà dei cittadini.
Questo in attesa venga riconosciuto il principio secondo il quale le leggi elettorali, e in generale le leggi che riguardano i rappresentanti, la loro selezione e il loro trattamento (pensiamo alla questione vitalizi), debbano sempre passare al vaglio del corpo elettorale, per evitare quegli inevitabili conflitti di interesse che i rappresentanti hanno nel definire la legge attraverso la quale loro stessi, o i loro compagni di partito, saranno eletti.
Il Direttivo dell’Associazione
Daniela Filbier – Stefano Tava – Angelina Pisoni
Rassegna stampa:
– 9 aprile 2017 – Il Dolomiti – Doppia preferenza, “Più Democrazia in Trentino” chiede il referendum. Ma per far decidere gli elettori serve la firma di Degasperi dei 5 Stelle
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