Il viaggiatore e scrittore Carlo Gambillo, dopo aver percorso e studiato la storia, i costumi popolari e i paesaggi delle valli trentine, scrisse “Il Trentino – Appunti e impressioni di viaggio” pubblicato a Firenze nel giugno 1880.
Nel capitolo sesto fa un’interessantissima disamina dell’antico governo delle Giudicarie facendo emergere le peculiarità del regime popolare nella gestione degli affari delle comunità, degli assetti fondiari collettivi indivisi, degli usi civici e di una estesa autonomia rispetto al principe vescovo:
Quella parte del Trentino meridionale, all’ovest dell’Adige, la quale è percorsa dal Sarca e dal Chiese, venne fino dai tempi più antichi indicata come Giudicarie. L’etimologia di questo nome evidentemente è dovuta alla forma di governo che resse codesta parte del Principato; forma che lasciando una estesissima autonomia per quanto riguarda l’amministrazione locale, riserbava all’autorità suprema del Vescovo il solo esercizio del potere giudiziale, ed anco questo solamente nei casi più gravi.
Questa indipendenza che garantiva il paese dalle nuove imposizioni di leggi, di contribuzioni e di balzelli senza il consenso e l’approvazione dei Consigli municipali, o Regole, come allora si chiamavano, era acconsentita ed assicurata da statuti o carte di regola, pattuite fra l’Autorità suprema e i Comuni; i quali, statuti impegnavano questi al pagamento di certi canoni ed a certe prestazioni, quella al rispetto delle antiche costumanze e della locale indipendenza per quanto riguarda l’intera amministrazione.
Questa forma, della quale i Giudicariese si mostrano ancora teneri, benché l’odierno regime (ndr austroungarico) non ne conservi più nemmeno l’ombra, avea di certo le sue origini nell’antica costituzione municipale romana, fusa colle antichissime consuetudini di paese e solo leggermente modificata, ma pur sempre rispettata nella sua essenza dai dominii barbarici. L’orditura del comune esisteva anzi nelle Giudicarie ed in tutto il Trentino prima ancora dell’epoca romana; infatti fino a quando la Rezia venne incorporata all’Impero, i suoi popoli viveano raccolti in paesi, come lo dimostrano i sepolcreti e le memorie lasciate da qualche scrittore greco e latino; ed allorché San Vigilio (ndr Roma 355 – Val Rendena 405 vescovo di Trento ucciso a Spiazzo in Val Rendena) venne a predicarvi il Vangelo, egli vi trovò già assai sviluppati gli ordinamenti del viver sociale ed il territorio sparso di ville e di castella. Ora la convivenza di molte famiglie riunite porta seco un governo comune formato dall’accordo delle volontà della popolazione, rappresentata per lo più dai seniori.
I Giudicariesi furono meglio che gli altri Trentini in grado di difendere la libertà allodiale (ndr proprietà libere da censi) e la proprietà fondiaria suddivisa nel complesso degli abitanti dai vincoli del sistema feudale. Infatti rimasti in continua relazione colle città lombarde aveano sempre mantenuto l’ordinamento comunale; riparati dagl’influssi germanici, favoriti dai Principi vescovi che mantenevano nella libertà la provincia onde sottrarla alla violenza ed ingordigia dei dinasti che la circondavano, i Giudicariese conservarono fino agli ultimi tempi intatto il regime popolare.
Le Giudicarie tenevano le loro assemblee generali nel cimitero di San Faustino di Preore. Era costume generale di tutte le vallate che reggevansi a popolo tenere le cosiddette regole nei cimiteri, come i popolari delle città italiane le tenevano nella piazza o nella chiesa. Sembra che queste adunanze s’ispirassero all’amore delle antiche consuetudini sul luogo, dove riposavano tutte le generazioni che avean secondo quelle vissuto. La legge avea il carattere sacro di un’istituzione famigliare, ed era l’esercizio dei diritti civili conguagliato all’adempimento dei più sacri doveri!
Tali assemblee prendevano tutte quelle decisioni che riguardavano l’interna amministrazione; quanto all’autorità vescovile essa era esercitata e rappresentata da un luogotenente, vicario o podestà, il quale risiedeva nel pretorio castello di Stenico, fatto erigere a tal uopo dal vescovo Alberto nel 1187, e vi pronunziava giudizi in nome del Principe vescovo.
Meno fortunate della Val di Fiemme, che per la sua posizione non ebbe a soffrire la vicinanza di nessun prepotente feudatario, le Giudicarie si videro circondate dai più potenti dinasti del Trentino, I signori di Lodrone che ne guardavano l’entrata al mezzogiorno, quelli d’Arco e di Campo che sbarravano l’uscita all’oriente. Benchè questi signori non abbiano mai potuto aver giurisdizione diretta sulle Valli Giudicarie, esse ebbero a soffrire delle costoro prepotenze, allorquando vi tenevano vicarìa in nome del Vescovo che spesso loro affidava tale incarico; o quando, impegnati in guerricciuole di rivalità o implicati in quelle che si facevano gli Stati vicini, portavano lo sgomento e la rovina anche nel paese libero dallo loro diretta signoria.
Si fu specialmente durante la guerra fra la Repubblica di Venezia e i duchi di Milano, sostenuta la prima dai Lodroni ed i secondi dagli Archesi, che le Giudicarie ebbero a soffrire per il continuo passaggio degli eserciti e le devastazioni che ne seguivano.
Egli è però notevole che la popolazione non prese mai partito per nessuno e si mantenne per quanto potè estranea a quelle lotte, intenta solo a tutelare quegli ordinamenti e quei privilegi che le erano stati trasmessi, ed ai quali non rinunziò mai per mutar di dominio.
Il diuturno contratto colle genti civili del Mezzodì, Lombardi e Veneti, per ragioni di commercio e d’emigrazioni, la naturale svegliatezza, il sentimento della indipendenza lasciarono traccie sensibili nel carattere accorto ed intelligente dei Giudicariesi, i quali raggiunsero un grado di civiltà superiore a quello dei Valligiani ch’ebbero relazioni coi popoli violenti e rozzi del Tirolo, come sarebbero i Nonesi e i Solandri, o che rimasero come i Fiemmazzi ed i Fassani fuori d’ogni commercio intellettuale e materiale.
I Giudicariesi hanno coi Lombardi, oltre al dialetto, molti punti di contatto nel carattere; lo spirito della nazionalità è vivo e radicato in loro profondissimamente, ed in poche parti del Trentino come in questa si nutre un’avversione così sincera contra il Tedesco in generale ed un odio più accanito contro il Tirolese in particolare. Persino i poveri touristes che hanno la disgrazia di portare un cappello alla pusteru, o non abbiano avuto dalla natura una fisonomia che non lasci dubbio alcuno sulla loro nazionalità, possono facilmente sperimentare quest’antipatìa di razza che si tradisce se non in patenti sgarbatezze certo nel poco lusinghiero epiteto di zucco.
Le principali risorse economiche del paese sono il commercio dei legnami e la pastorizia, una volta anche l’industria del ferro; oggi quest’ultima è pressochè scomparsa, in grazia del confine che impedisce l’esito fruttuoso di quel prodotto che affluiva alle fabbriche di Bergamo e di Brescia. Le valli di Daone e di Fumo, quelle di Breguzzo e di San Valentino, tutte sparse di magnifici pascoli, sono invase ogni anno dalle mandre di Lombardia che vengono a passarvi l’estate. Queste fonti però non bastano, ed anche qui la popolazione maschile è costretta ad emigrare in sul principio dell’autunno.
Una volta l’emigrazione temporaria era assai più fruttifera che non lo sia ora. L’opera dei segantini giudicariese era meglio retribuita, e maggiore ero lo spirito d’economia degli operai, i quali ora, convien confessarlo, riportano dall’Italia alle natìe vallate pochi quattrini, ma molti vizi e non poche brutte malattie