L’ambivalenza del presidente Rossi sull’intelligenza dei cittadini

ugorossi_08Dal comunicato diramato giovedì 13 ottobre dall’ufficio stampa del Consiglio regionale si apprende che Ugo Rossi, in qualità vicepresidente della regione, ha affermato che i cittadini trentini sono in grado di comprendere quello che vanno a votare e che nessuno li obbliga ad andare a votare. Tali parole sono state pronunciate in risposta alle osservazioni del consigliere Borga circa i messaggi sms inoltrati da esponenti dei partiti politici (non specificati nella nota stampa) in riferimento al referendum sulla fusione fra i comuni di Faedo e di San Michele all’Adige, il quale è stato definito dal consigliere medesimo un esempio di come alcuni comuni trentini siano stati soppressi sulla base di una legge particolarmente coercitiva.

Dalla cronaca dell’ufficio stampa si rileva la coerenza del consigliere Borga, il quale, non sottraendosi mai al confronto con l’associazione Più Democrazia in Trentino e motivando apertamente le proprie convinzioni anche sotto il profilo logico e valoriale, ha sempre dimostrato perplessità rispetto ad un uso più inteso degli strumenti referendari.

Dallo svolgimento del dibattito consiliare si denota invece un atteggiamento ambivalente da parte del presidente Rossi in riferimento all’uso degli strumenti referendari e al recepimento dei principi consolidati del patrimonio costituzionale europeo. Ad esempio, in riferimento al disegno di legge di iniziativa popolare sulla democrazia diretta, anche attraverso altri esponenti della Giunta e della maggioranza provinciale, fin dall’inizio della consiliatura, in maniera più o meno sistematica, ha manifestato un atteggiamento ostile sui contenuti e dilatorio in ordine ai tempi di trattazione. In particolare, si ritiene significativo il commento del presidente Rossi il 16 luglio 2014 ai microfoni di RTTR, giorno della seduta consiliare in cui tentò di affossare l’iniziativa popolare per la revisione della disciplina sui referendum provinciali, nel quale disse testualmente che i cittadini trentini non sono in grado di rispondere al quesito di un referendum propositivo e che un simile strumento, se introdotto, allontanerebbe i cittadini anzichè avvicinarli alla gestione della cosa pubblica.

Sono in molti a sostenere che la democrazia si concretizzi con il voto elettorale ogni 5 anni e che questo sia sufficiente per premiare o sanzionare gli eletti a una carica politica. Spesso, per ovvie ragioni di opportunità e per i vantaggi anche economici che ne derivano, i rappresentanti politici e le élite a loro collegati condividono tale posizioni. Tale posizione, visti gli interessi in gioco, anche se non condivisa, è comprensibile. Meno comprensibile invece quando il principio della sovranità popolare e l’intelligenza dei cittadini viene invocata solo quando fa comodo e non quando si deve legiferare per estendere e assicurare l’applicazione di tale principio anche in contesti diversi da quelli inerente alla propria elezione o rielezione.
(Lettera inviata al giornale Trentino il 14 ottobre e pubblicata con la risposta del direttore Faustini il 20 ottobre)

Risposta del direttore Faustini:
“Mi vien da dire – anche se a risponderle dovrebbe essere… uno dei due Rossi di cui lei parla – che non tutti i referendum sono uguali. E aggiungo che in due anni, su questa e altra materia, si può anche cambiare idea. Senza sottovalutare la sua domanda e senza mettere in secondo piano il suo encomiabile impegno, continuo a pensare che la politica (che ha il compito di rappresentare i cittadini) ultimamente abbia deciso di ricorrere anche troppo spesso ai referendum, per evitare – soprattutto in casi scomodi – di prendere decisioni. Su certi temi fondamentali (è il caso ad esempio del voto del 4 dicembre sulla riforma costituzionale), è invece giusto chiedere un parere ai cittadini.”
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