La terza parte della serata (Qui la prima e qui la seconda)
Potrei quasi definirla proponimenti e speranze. E una esortazione all’azione.
Dopo l’analisi storica e di scienza politica, la domanda che a me sorge spontanea, come dicevo all’inizio è: cosa possiamo fare, sulla scorta dell’esperienza, per migliorare i nostri istituti di gestione della cosa pubblica? Spero sia una domanda che solletichi anche voi.
Ebbene, per me è abbastanza semplice. Basta prendere esempio dalla Svizzera. Per noi trentini poi questo dovrebbe essere assai più semplice, sempre che sia rimasto nelle nostre vene un po’ di quella tradizione di autogoverno che abbiamo espresso con le carte di regola.
E dalla Svizzera viene anche la dimostrazione che questi cambiamenti devono venire dal basso. Da loro sono stati i comuni e i cantoni ad essere protagonisti del cambiamento. E anche oggi le forme più avanzate vengono dai comuni e dai cantoni.
Come esempio guardate la differenza tra la formulazione del primo articolo della costituzione cantonale di Zurigo prima e dopo le richieste del Movimento Democratico attivo nei primi anni del 1800 in Svizzera.
«La sovranità risiede nell’universalità dei cittadini ed è esercitata nei modi stabiliti dalla Costituzione dal Gran Consiglio come rappresentante del Popolo»
«Il potere dello Stato risiede nell’universalità dei cittadini ed è esercitato direttamente dai cittadini aventi diritto di voto e indirettamente dalle autorità e dai funzionari civili»
La modifica di una frase ha cambiato completamente il modo di vedere e intedere la sovranità popolare. Il Cantone di Zurigo divenuto uno dei cantoni con maggiori diritti popolari, dove per esempio sono sottoponibili a referendum obbligatorio le modifiche alla tassazione , e a referendum facoltativo le spese sopra una certa soglia (6 milioni di franchi una tantum o 600.000 franchi annuali. Ma la lettura dei diritti popolari della costituzione zurighese è particolarmente istruttiva. E parliamo del cantone più ricco della Svizzera, e la cui capitale è anche considerata la città con la maggior qualità della vita nel mondo.
Quidi, cosa si potrebbe fare in Trentino, e magari proprio qui a Lavis per migliorare le nostre istituzioni?
Prima di tutto dobbiamo tenere in considerazione che l’ordinamento dei comuni è una competenza regionale. E qui purtroppo già non abbiamo una legge ideale, e tra il resto è stata ulteriormente peggiorata a inizio anno. Infatti, sulla spinta populista di riduzione della spesa, con la riduzione del numero di consiglieri comunali è stata anche sancita la fine della separazione dei poteri esecutivo e legislativo.
In realtà il problema di base è che non dovrebbe essere la legge regionale a stabilire quanti siano i componenti del consiglio comunale, e quanto debbano essere remunerati.
Questa è una cosa che dovrebbe essere lasciata allo statuto comunale.
Altro problema grosso è che i comuni dovrebbero essere dotati di entrate proprie, con le quali svolgere i propri compiti. La Provincia dovrebbe avere entrate proprie unicamente per coprire le esigenze sovracomunali. Invece non è così, e la ripartizione dei soldi viene decisa in larga parte annualmente a livello centrale con la finanziaria.
Altro crimine verso la democrazia, altro non potrei definirlo, è la previsione della legge regionale che lo statuto comunale possa essere modificato esclusivamente attraverso il voto del consiglio comunale.
Prima di vedere cosa protrebbe fare il comune di Lavis diamo un occhiata alla Costituzione del Cantone dei Grigioni. Un cantone molto simile alla nostra regione, non solo perchè in gran parte montagnoso, e che ricava molte risorse dal turismo (Sankt Moritz, Davos), ma anche perchè trilingue, Tedesco, Italiano e Romancio, che è una lingua reto-romanica affine al Ladino.
Costituzione del Cantone dei Grigioni
A. Tipi di comune
Art. 60
Comuni politici
I comuni politici sono corporazioni del diritto pubblico cantonale con personalità giuridica propria. Sono costituiti dall’insieme delle persone domiciliate nel proprio territorio.
Sono competenti per tutte le questioni locali che non spettano ai comuni patriziali.
Art. 61
Comuni patriziali
I comuni patriziali sono costituiti dalle cittadine e dai cittadini originari del comune e ivi domiciliati.
Lo stato giuridico, i compiti e l’organizzazione dei comuni patriziali nonché l’unione con il comune politico sono stabiliti dalla legge.
B. Collaborazione e aggregazione fra comuni
Art. 62
Collaborazione fra comuni
Per assolvere i propri compiti, i comuni possono collaborare con altri comuni o altre organizzazioni. La legge prevede che i comuni possano essere obbligati a collaborare fra di loro.
La legge regola la collaborazione fra comuni nonché la delega di compiti all’esterno e garantisce i diritti politici di cogestione.
Art. 63
Aggregazione
L’aggregazione di comuni è regolata dalla legge.
Art. 64
Incentivazione della collaborazione e dell’aggregazione fra comuni
Il Cantone promuove la collaborazione e l’aggregazione fra comuni per garantire l’assolvimento appropriato ed economico dei loro compiti.
C. Stato giuridico e organizzazione
Art. 65
Autonomia comunale
L’autonomia dei comuni è garantita. Il diritto cantonale ne fissa i limiti.
I comuni sono in particolare legittimati a definire la propria organizzazione, a istituire le proprie autorità e la propria amministrazione come pure a regolare in modo autonomo il proprio assetto finanziario.
Art. 66
Organi
Organi obbligatori dei comuni politici sono:
1. l’insieme delle e degli aventi diritto di voto che esercitano i loro diritti politici nell’assemblea comunale o con la votazione per urna;
2. l’autorità esecutiva;
3. altre autorità a norma di legge.
I comuni possono prevedere che l’assemblea comunale sia sostituita o affiancata da una forma di parlamento comunale.
Art. 67
Vigilanza
Il Governo esercita la vigilanza sui comuni e sugli organi responsabili della collaborazione fra comuni.
La vigilanza si limita al controllo della legalità, salvo diversa disposizione di legge.
Un comune può essere sottoposto a curatela in gravi casi di amministrazione irregolare.
Salvo definire meglio alcuni aspetti di principio, la legge sui comuni non dovrebbe contenere molto più di questo. Invece l’attuale legge è ipertrofica e di eccessivo dettaglio. Come per altro determinato dalla cattiva abitudine legislativa italiana.
Cosa si può invece fare a livello comunale? Qui devo inserire una nota positiva per la legge regionale. All’art. 4 infatti, tra il resto, dice:
Lo statuto stabilisce altresì le forme della partecipazione popolare, del decentramento e dell’accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi. Lo statuto può prevedere altresì la possibilità di sperimentare forme innovative di partecipazione dei cittadini e di democrazia diretta, promosse ed autoorganizzate da gruppi informali, comitati e associazioni di cittadini.
Purtroppo questa possibilità non è mai stata sfruttata dai comuni, tanto meno dal comune di Lavis.
Anzi, il Comune di Lavis, nel proprio statuto dedica appena un articolo, il numero 8, ai referendum. E negli 11 commi che compongono l’articolo compie almeno 3 peccati capitali e due gravissimi.
Ho definito i 3 peccati capitali come le previsioni che sono espressamente sconsigliate dal codice di buone pratiche sui referendum della Commissione per la Democrazia attraverso il Diritto, la c.d. Commissione di Venezia dalla citta dove si riunisce. Cos’è la Commissione di Venezia, vi domanderete. La Commissione è un organo consultivo del Consiglio d’Europa, l’organismo che riunisce 47 stati europei, anche non facenti parte dell’Unione Europea, e che intende promuovere i tre pilastri della civiltà giuridico-istituzionale europea, ossia Democrazia, Diritti Umani e Stato di Diritto.
La Commissione di Venezia è stata creata, su iniziativa italiana, nel 1989 per aiutare le nascenti democrazie nei paesi dell’est a scrivere le proprie costituzioni in linea con i tre principi prima elencati e seguendo le migliori pratiche delle democrazie consolidate. Essa ha raggiunto una grande considerazione nel mondo come “fabbrica del diritto costituzionale”, e ne fanno parte moltissimi paesi non parte del Consiglio d’Europa. Per esempio da quest’anno anche gli Stati Uniti d’America ne sono divenuto membro effettivo, dopo essere stato fino ad oggi membro osservatore.
La Commissione ha approvato nel corso della sua attività due codici di buone pratiche per l’esercizio dei due fondamentali strumenti di democrazia, le elezioni e i referendum.
Delle raccomandazioni di quest’ultimo codice lo statuto di Lavis ne viola appunto almeno tre.
La prima è che il risultato di un referendum deve avere un risultato chiaro determinato dalla norma stessa. Lo statuto di Lavis invece mescola i tre modelli di referendum, dicendo solo che all’esito positivo il Consiglio viene convocato per adeguarsi all’esito del referendum. Ossia? E cosa succede se non lo fa? In ordine generale, i referendum propositivi (in forma dettagliata, ma qui andremmo nel dettagli della forma dettagliata e di quella generica presenti in Svizzera), devono portare ad un atto “legislativo” che viene adottato direttamente dopo voto positivo.
Analogamente un atto per il quale gli elettori si sono espressi per l’abrogazione va abrogato, senza sottostare ad ulteriore voto consiliare.
E che dire dei referendum consultivi? Questi potrebbero avere risposte multiple, anche parzialmente sovrapponibili. Cosa succede?
Per cui la prima modifica da fare è di differenziare tra le varie forme di referendum, prevedendo poi che le decisioni assunte entrino effettivamente in forza immediatamente dopo il voto popolare, così come lo entrerebbero con un voto consiliare.
Incidentalmente un errore gravissimo è quello di non aver previsto il referendum confermativo, che è sicuramente più efficace di quello abrogativo.
Il secondo problema è quello del numero di firme necessarie per lanciare l’iniziativa referendaria. La Commissione raccomanda che questo venga fissato non come una percentuale, ma come un numero preciso. Questo evidentemente per dare garanzia alle parti di quante firme siano effettivamente necessarie.
Su questo tema vi sono ulteriori due problemi. Il primo che lo statuto prevede le firme di almeno il 10% degli aventi diritto al voto, mentre la legge regionale prevede al più il 10%. Inoltre è evidente che più è alta questa soglia più è difficile lanciare una iniziativa. Fissarla al massimo possibile per legge è un chiaro indicatore della volontà di ridurre, no di favorire, la partecipazione popolare. Inoltre vi è un riferimento ad un Regolamento, che io non ho trovato sul sito del Comune.
Infine l’ultimo peccato capitale è quello della previsione del quorum. La Commissione di Venezia dice molto chiaramente che dopo aver valutato tutte le posizioni, ritiene il quorum, di qualunque natura e livello “dannoso per la democrazia”. Sarebbe ora che i nostri legislatori se ne facessero una ragione e si adeguassero agli standard europei di democrazia.
Ultimo errore è la limitazione delle materie referendabili. Non vi sono ragioni logiche per escludere il sovrano dall’esprimersi su materie sulle quali può esprimersi un suo rappresentante. Tra le materie che vengono escluse sono per esempio le tasse e i tributi locali. Ma l’esperienza Svizzera dimostra che dove i cittadini hanno questa facoltà i soldi pubblici vengono spesi molto meglio. Tra il resto io, come cittadino, resto sempre offeso quando vedo che un organo rappresentativo si sente più adeguato di me a decidere quanti soldi deve scucirmi, e sa meglio di me come spenderli. Dovreste esserlo anche voi.
Per concludere, sarebbe già un ottimo inizio se il Comune di Lavis mettesse mano al proprio statuto per correggere queste storture, allineandosi alle buone pratiche europee.
E voi, come cittadini di questo comune, dovreste spingere con forza, cercando di riottenere almeno gli stessi diritti di partecipazione che avevano i vostri avi.
Sull’eredità voglio citare qui un pezzo del discorso del Presidente del Consiglio Federale Ueli Maurer per gli auguri per il nuovo anno. Questo discorso è divenuto famoso perchè Maurer ha impiegato solo 3 minuti, persino più stringato del suo solito.
Sappiamo che uso si può fare di un’eredità. Si può custodirla con cura e tramandarla ai posteri, oppure disperderla in breve tempo. Dobbiamo prenderci cura delle nostre radici e dei nostri valori anche in futuro. La Comunità svizzera funziona soltanto se non smettiamo mai di domandarci che cosa possiamo fare per il nostro Paese. Ognuno secondo le sue possibilità e le sue forze. La Comunità svizzera alla lunga non potrà che disgregarsi se ci chiediamo soltanto che cosa può fare lo Stato per noi. Restare uniti e sostenersi a vicenda: è questa la base per la sicurezza e il benessere.
Detto in un paese che è ancorato alle tradizioni, ma anche primo al mondo nelle classifiche di innovazione. Ossia come tirare sempre fuori il meglio dalla propria storia senza smettere di inventare il proprio futuro.
Spero che questa spinta di innovazione nella tradizione dei propri statuti di autogoverno si estenda a tutti i comuni trentini.
Se poi si riuscisse anche a far cambiare la legge regionale sull’ordinamento dei comuni sarebbe ancora meglio.
Nell’attesa di riuscire ad avere uno Statuto di Autonomia veramente da Cantone federale. Ma questa è un’altra storia.
Pingback: Associazione Culturale Lavisana » Blog Archive » Testo Conferenza “la democrazia di ieri e di oggi”
Pingback: Trentini e sudtirolesi nel “secolo lungo”: il rovesciamento delle parti, fra sudditanze e autonomie negate. | Più Democrazia in Trentino